Ultima Cena (Leonardo)

Il Cenacolo, noto anche come l'Ultima Cena, è un affresco parietale ottenuto con una tecnica mista a secco su intonaco (460×880 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1494-1498 e realizzato su commissione di Ludovico il Moro nel refettorio del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano.

Si tratta della più celebre rappresentazione dell'Ultima Cena, capolavoro di Leonardo e del Rinascimento italiano in generale. Nonostante ciò, l'opera — a causa della singolare tecnica sperimentale utilizzata da Leonardo, incompatibile con l'umidità dell'ambiente — versa da secoli in un cattivo stato di conservazione, cui si è fatto fronte, per quanto possibile, nel corso di uno dei più lunghi restauri della storia, durato dal 1978 al 1999 con le tecniche più all'avanguardia del settore. In oltre 17 anni, l'Olivetti (società finanziatrice del progetto dal 1982 al 1999) sostenne per il restauro un costo di circa 7 miliardi di lire.

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Il Cenacolo, noto anche come l'Ultima Cena, è un affresco parietale ottenuto con una tecnica mista a secco su intonaco (460×880 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1494-1498 e realizzato su commissione di Ludovico il Moro nel refettorio del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano.

Si tratta della più celebre rappresentazione dell'Ultima Cena, capolavoro di Leonardo e del Rinascimento italiano in generale. Nonostante ciò, l'opera — a causa della singolare tecnica sperimentale utilizzata da Leonardo, incompatibile con l'umidità dell'ambiente — versa da secoli in un cattivo stato di conservazione, cui si è fatto fronte, per quanto possibile, nel corso di uno dei più lunghi restauri della storia, durato dal 1978 al 1999 con le tecniche più all'avanguardia del settore. In oltre 17 anni, l'Olivetti (società finanziatrice del progetto dal 1982 al 1999) sostenne per il restauro un costo di circa 7 miliardi di lire.

Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali gestisce il Museo del Cenacolo Vinciano tramite il Polo museale della Lombardia, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei. Nel 2019 è stato visitato da 445 728 persone, risultando essere il quindicesimo più visitato in Italia.

La commissione e la creazione  Dettaglio della tavola imbandita

Nel 1494 Leonardo da Vinci era deluso dall'abbandono forzato del progetto del monumento equestre a Francesco Sforza, a cui aveva lavorato quasi dieci anni. Quell'anno ricevette però un altro importante incarico da Ludovico il Moro, il quale aveva infatti eletto la chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie a luogo di celebrazione della casata Sforza[1].

Il duca di Milano aveva finanziato importanti lavori di ristrutturazione e abbellimento di tutto il complesso; Donato Bramante aveva appena finito di lavorarvi, quando si decise di procedere con la decorazione del refettorio[2].

Venne scelta una decorazione tradizionale sui lati minori, rappresentante la Crocifissione e l'Ultima Cena.

Alla Crocifissione lavorò Donato Montorfano, che elaborò una scena di impostazione tradizionale, terminata già nel 1495.

In questa scena, Leonardo dovette rappresentare, verso il 1497, i Ritratti dei duchi di Milano con i figli[3], oggi scarsamente leggibili. Sulla parete opposta l'artista avviò l'Ultima Cena (o Cenacolo), che lo risollevò dalle preoccupazioni economiche e nella quale riversò tutte le conoscenze assimilate nel corso di quegli anni. Restano numerosi studi per il Cenacolo di Leonardo, tra cui la Testa di Cristo, conservata alla Pinacoteca di Brera.

Nella novella LVIII (1497) Matteo Bandello, che in quel periodo soggiornava per motivi di studio nell'edificio, fornì una preziosa testimonianza di come Leonardo lavorasse attorno al Cenacolo:

«Soleva […] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove.»

(Matteo Bandello, Novella LVIII)

Come è noto Leonardo non amava la tecnica dell'affresco, la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima che l'intonaco asciughi imprigionandoli, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche, come testimonia dopotutto il brano di Bandello. Scelse di dipingere quindi su muro come dipingeva su tavola: i recenti restauri hanno permesso di appurare che l'artista, dopo aver steso un intonaco piuttosto ruvido, soprattutto nella parte centrale, e steso le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorò al dipinto usando una tecnica tipica della pittura su tavola. La preparazione era composta da una mistura di carbonato di calcio e magnesio uniti da un legante proteico; prima di stendere i colori l'artista interponeva un sottile strato di biacca (bianco di piombo), che avrebbe dovuto far risaltare gli effetti luminosi. In seguito venivano stesi i colori a secco, composti da una tempera grassa realizzata probabilmente emulsionando all'uovo oli fluidificanti.[4] Questa tecnica permise la particolare ricchezza della pittura, con una serie di piccole pennellate quasi infinite e una raffinata stesura tono su tono, che consentì una migliore unità cromatica, una resa delle trasparenze e degli effetti di luce, e una cura estrema dei dettagli, visibili solo da distanza ravvicinata; ma fu anche all'origine dei problemi conservativi, soprattutto in ragione dell'umidità dell'ambiente, confinante con le cucine.[5]

L'opera era già terminata nel 1498, quando Luca Pacioli in data 4 febbraio di quell'anno la ricordò come compiuta.[6]

Le copie  Copia dell'Ultima Cena (1550 circa) a Ponte Capriasca, Chiesa di Sant'Ambrogio.

La fama del Cenacolo vinciano è testimoniata, oltre che dalle fonti scritte, dalle numerose copie che se ne fecero, sia a grandezza naturale (affreschi, tele e tavole), sia su supporti leggeri, come disegni e incisioni o anche attraverso sculture. Queste copie appaiono oggi particolarmente preziose per capire come il dipinto dovesse figurare in origine.[7]

Tra le opere a grandezza naturale spicca, per pregio e antichità, la copia del Giampietrino, assistente di Leonardo, opera proveniente dalla Certosa di Pavia (1520 circa). Acquistata nel 1821 dalla Royal Academy di Londra, fu esposta per 25 anni al Magdalen College di Oxford[8], per poi ritornare alla Royal Academy nel 2017[9] dove si trova tuttora esposta, sebbene tagliata nella parte superiore.

Un'altra ancora, leggermente più piccola, è quella attribuita a Marco d'Oggiono a olio su tela (549×260 cm, 1520 circa) ora al Musée de la Renaissance nel Castello di Écouen, poco a nord di Parigi, di proprietà del Louvre. Anche il museo dell'Ermitage di San Pietroburgo ne possiede una, attribuita genericamente a un "artista lombardo" del XVI secolo, forse l'unica in cui appare chiaramente il soffitto come doveva essere in origine, con i lacunari contornati da sottili righe colorate[10][11].

Tra le copie, c'è quella a mosaico e di identica grandezza, realizzata da Giacomo Raffaelli su commissione del viceré Eugenio Beauharnais che intendeva donarla a Napoleone I per il Louvre, ma che oggi si conserva nella chiesa dei Minoriti di Vienna. Un'altra copia è esposta nel Da Vinci Museum dell'abbazia belga di Tongerlo. In Ticino esiste una copia di un anonimo allievo di Leonardo, nella chiesa parrocchiale di Ponte Capriasca, vicino a Lugano (1550 circa).[12] A Torino, nella basilica di San Giovanni Battista, sulla parete opposta all'altare maggiore, è presente una copia dell'Ultima Cena di Leonardo Da Vinci, opera del pittore vercellese Luigi Cagna. Ulteriore copia è quella rinvenuta nel Convento dei Cappuccini a Saracena in Calabria. L'affresco dell'Ultima Cena calabrese, di cui è ignoto sia l'autore che la data di realizzazione, si trova nel Refettorio del complesso conventuale[13].

Per quanto riguarda le sculture vanno ricordate la copia nella Cappella di Santa Kinga, scolpita nella roccia salina della Miniera di sale di Wieliczka, e la vara della Cena di Caltanissetta, realizzata da Francesco e Vincenzo Biangardi.

Il degrado
 
La figura di Cristo prima del restauro…
 
… e dopo il restauro

Appena terminato il dipinto, Leonardo si accorse che la tecnica che aveva utilizzato mostrava subito i suoi gravi difetti: nella parte a sinistra in basso si intravedeva già una piccola crepa. Si trattava solo dell'inizio di un processo di disgregazione che sarebbe continuato inesorabile nel tempo; già una ventina di anni dopo la sua realizzazione, il Cenacolo presentava danni molto gravi, tanto che Vasari, che la vide nel maggio del 1566, scrisse che "non si scorge più se non una macchia abbagliata"[14]. Per Francesco Scannelli, che scriveva nel 1642, dell'originale non era rimasto altro che poche tracce delle figure, e anche quelle tanto confuse che non se ne poteva ricavare alcun'indicazione sul soggetto.

Le cause che provocarono quel degrado inarrestabile erano legate all'incompatibilità della tecnica utilizzata con l'umidità della parete retrostante, esposta a nord (che è il punto cardinale più facilmente attaccabile dalla condensa) e confinante con le cucine del convento, con frequenti sbalzi di temperatura; lo stesso refettorio era poi interessato dagli effluvi e dai vapori dei cibi distribuiti.

Per capire quanto siano stati devastanti i danni basta confrontare l'originale con una delle numerose copie dell'opera, come quella del Giampietrino: l'idea è quella che, ragionevolmente, i colori originali fossero sostanzialmente simili a quelli visibili nella copia, molto più brillanti e accesi.

L'opera subì numerosi tentativi di restauro nel tempo, che cercarono di porre rimedio ai danni, stabilizzando le cadute e spesso, provvedendo a vere e proprie ridipinture. Si tentò soprattutto di evidenziare i contorni offuscati, per recuperare la leggibilità generale, e di tamponare i fenomeni di degrado. Kenneth Clark, nell'introduzione al catalogo della mostra Studi per il Cenacolo[15], scrisse che in molti casi gli apostoli che vediamo oggi non sono più quelli dipinti da Leonardo: «Pietro, con la fronte bassa da criminale, è una delle figure che disturbano di più nell'intera composizione; ma le copie mostrano che la sua testa era in origine piegata indietro e vista di scorcio. Il restauratore non è stato capace di seguire questo difficile brano di disegno e così ne è uscita una deformità. Lo stesso insuccesso si verifica quando si tratta di avere a che fare con pose non comuni come quelle delle teste di Giuda e di Andrea. Le copie mostrano che Giuda era prima in profìl perdu, un fatto confermato dal disegno di Leonardo a Windsor. Il restauratore l'ha rigirato, collocandolo in netto profilo e pregiudicandone così l'effetto sinistro. Andrea era quasi di profilo; il restauratore l'ha portato a una veduta convenzionale di tre quarti. E inoltre ha trasformato il dignitoso vecchio in un tipo spaventoso di ipocrisia scimmiesca. La testa di Giacomo Minore è interamente opera del restauratore, che con essa dà la misura della propria inettitudine»[16].

All'inizio del XIX secolo le truppe napoleoniche trasformarono il refettorio in bivacco e stalla. Negli anni dieci del Novecento il pittore Luigi Cavenaghi reincollò le particelle che si andavano staccando dal muro[17].

Danni ancora più gravi vennero causati durante la seconda guerra mondiale, quando il convento venne bombardato nell'agosto del 1943: venne distrutta la volta del refettorio, ma il Cenacolo rimase salvo tra cumuli di macerie, protetto solo da un breve tetto e da una difesa di sacchi di sabbia, rimanendo esposto per vari giorni ai rischi causati dagli agenti atmosferici.

L'ultimo restauro

Nel 1977, dopo molti studi e ricerche, prese il via un grande e delicato progetto di restauro. Un'operazione destinata a durare più di un ventennio, e a mobilitare scienziati, critici d'arte e restauratori di tutto il mondo. La superficie del Cenacolo era ormai ovunque scrostata e lesionata; in milioni di interstizi microscopici si era infilata la polvere, trattenendo l'umidità delle pareti, e creando così le condizioni per la graduale e inesorabile scomparsa del dipinto.

Nel lavoro di ripulitura ci si è resi conto che il Cenacolo era stato in parte spalmato di cera per essere predisposto al distacco: un distacco che non fu mai eseguito. L'impiastro di colle, resine, polvere, solventi e vernici, sovrapposte nei secoli in maniera disomogenea, avevano peggiorato notevolmente le condizioni, già di per sé molto delicate, della pellicola pittorica, consegnando ormai alla fine degli anni settanta un Cenacolo che sembrava irreparabilmente compromesso. Solo una meticolosa e rigorosa opera di restauro, sostenuta da rilievi ed esami tecnologici approfonditi, ha permesso di restituire all'umanità uno dei capolavori della storia dell'arte più travagliati.

Tra le tante scoperte insperate, si è trovato il buco di un chiodo piantato in corrispondenza della testa del Cristo: qui Leonardo aveva appeso i fili per disegnare l'andamento di tutta la prospettiva (punto di fuga). Si sono riscoperti anche i piedi degli apostoli sotto il tavolo, ma non quelli di Cristo: questa parte fu infatti distrutta nel XVII secolo dall'apertura di una porta che serviva ai frati per collegare il refettorio con la cucina.

Tra i particolari più deteriorati e irrecuperabili si segnala la parte inferiore del viso di Giovanni dove, come scrive la restauratrice Pinin Brambilla, le narici e la bocca erano ormai "ridotte a piccoli tratti scuri". Pure il soffitto della scatola prospettica che vediamo oggi non è l'originale dipinto da Leonardo ma frutto di un totale rifacimento settecentesco che sempre secondo la restauratrice "non rispetta il sapore e il ritmo leonardeschi". Dell'originale rimane traccia solo in una sottile fascia a destra, che evidenzia come i cassettoni in origine fossero più larghi, profondi e caratterizzati da modanature con sottili fasce rosse e lacunari dal fondo blu-azzurro[18].

L'opera è stata dichiarata nel 1980 patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, e insieme con essa vengono protetti anche la chiesa e il limitrofo convento domenicano (la motivazione della nomina dei due edifici fa esplicita menzione del dipinto)[19].

Il restauro è stato concluso nel 1999.

Nell'aprile 2017 è stato annunciato un progetto di restauro ambientale per l'igienizzazione del microclima del Cenacolo. Il progetto sarà finanziato per un milione di euro da Eataly e per 1,2 milioni da fondi statali[20].

^ Arte (art. L’ultima cena – Leonardo Da Vinci), su lavocedileonardoblog.wordpress.com, 16 marzo 2017. URL consultato il 24 aprile 2017. ^ Magnano, cit., pag. 24. ^ Giorgio Vasari, Vita di Lionardo da Vinci, pittore e scultore fiorentino, in Le Vite dei più famosi pittori, scultori, architettori, seconda edizione, 1568. ^ Pinin Brambilla Barcilon, Il Restauro, in Leonardo, L'ultima Cena, Electa, Milano, 1999, pag.431. La direttrice del restauro aggiunge che "I leganti pongono comunque difficili problemi di identificazione essendo stata la pellicola pittorica imbibita da vari materiali". ^ Domenico Pino, Storia genuina del cenacolo insigne dipinto da Leonardo da Vinci, nel refettorio de' padri domenicani di Santa Maria delle Grazie di Milano, Milano, 1796. In particolare il priore del convento afferma che l'opera di Leonardo si trova in stato di grave degrado "Poiché si stende essa sopra un gran muro nell'entrata del refettorio, o sia che fuori di esso vi è un piccolo atrio con una vasca in cui i Padri si lavavano anticamente le mani, o sia che il fumo della cucina che esce da una apertura che vi sta poco lungi, inumidisce, e scolora quindi il dipinto...". ^ Luca Pacioli, De Divina Proportione, Milano, Biblioteca Ambrosiana , ms. 1499. La citazione del Cenacolo di Leonardo si trova nella Lettera dedicatoria al duca di Milano Ludovico il Moro che accompagna l'opera di Pacioli ^ Un dettagliato elenco delle copie conosciute, esistenti e perdute, dell'Ultima Cena si trova in: Magnani, Barcilon, Leonardo, L'ultima Cena, cit., pagg. 74-80. ^ (EN) 9788897530770 Marani Pietro C 2016 - "Bella quanto l'originale stesso". La copia del Cenacolo della Royal Academy di Londra. Vicende, Fortuna, Attribuzione. - LibroCo.it/english, su libroco.it. URL consultato il 24 aprile 2017. ^ Farewell to The Last Supper | Magdalen College Oxford, su magd.ox.ac.uk. URL consultato il 3 maggio 2019. ^ Scheda nel sito del museo[collegamento interrotto] ^ Dalila Tossani, L’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci: Audioquadro, Area51 Publishing, 27 giugno 2015, ISBN 978-88-6574-755-1. URL consultato il 24 aprile 2017. ^ (FR) Ultima Cena, su prezi.com. URL consultato il 24 aprile 2017. ^ Lorita Russo, L'ultima cena capolavoro ritrovato in un convento abbandonato, su quotidianpost.it, 4 gennaio 2019. URL consultato il 17 marzo 2023. ^ Vasari, Le Vite de' più eccellenti pittori scultori e architettori, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, 1966. ^ Carlo Pedretti (a cura di), Leonardo. Studi per il Cenacolo dalla Biblioteca Reale nel Castello di Windsor. Electa, Milano 1983. ^ Kenneth Clark, Introduzione a Studi sul Cenacolo, Electa, 1983. ^ Enciclopedia moderna Vallardi, 1923, Vol. VI pag. 389. ^ Pinin Brambilla Barcilon, Il restauro, in Leonardo, l'Ultima cena, Electa, Milano, 1999, pp. 367-369. ^ Unesco, la meraviglia del Cenacolo: un vero patrimonio mondiale - Askanews, su askanews.it. URL consultato il 24 aprile 2017. ^ Cenacolo di Leonardo, aria più pulita e più visitatori: Farinetti finanzia il restauro con 1 milione, in Repubblica.it, 19 aprile 2017. URL consultato il 24 aprile 2017.
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