Galleria Vittorio Emanuele II

La galleria Vittorio Emanuele II è una galleria commerciale di Milano che, in forma di strada pedonale coperta, collega piazza Duomo a piazza della Scala.

Per la presenza di eleganti negozi e locali, fin dalla sua inaugurazione fu sede di ritrovo della borghesia milanese tanto da essere soprannominata il "salotto di Milano": costruita in stile neorinascimentale, è tra i più celebri esempi di architettura del ferro europea e rappresenta l'archetipo della galleria commerciale dell'Ottocento. Chiamata semplicemente "la Galleria" dai milanesi, viene spesso considerata come uno dei primi esempi di centro commerciale al mondo.

Contesto storico

La presenza di passaggi coperti di Milano intesi come portici risale alla città medievale: nel XIII secolo Bonvesin de la Riva annotava nelle sue Meraviglie di Milano la presenza di circa sessanta porticati nella città, allora chiamati "coperti". Con l'avvento degli Sforza prima e della dominazione spagnola poi, i porticati vennero progressivamente demoliti fino a lasciarne pochissimi superstiti, tra cui il coperto dei Figini che sarebbe stato paradossalmente demolito per la realizzazione della galleria Vittorio Emanuele II[1]. D'altro canto Milano fu la prima città in territorio italiano e dell'Impero austriaco, con la galleria De Cristoforis, a dotarsi di un passage sulla moda di quanto stava accadendo nelle principali capitali europee dove si costruivano passaggi con copertura in ferro e vetro a carattere commerciale, come le galerie Vivienne di Parigi e Burlington Arcade di Londra[2]. La galleria De Cristoforis rappresentò tuttavia un caso isolato e per trent'anni fu l'unica galleria di Milano: la città si presentava quindi all'unità d'Italia senza quella tradizione di porticati e passaggi coperti più tipica di città come Torino e Bologna[3].

Piazza Duomo e il progetto di una galleria
  Lo stesso argomento in dettaglio: Piazza del Duomo (Milano).
 Area attorno al duomo nel 1860, prima della costruzione della Galleria e del rifacimento della piazza; si notino il Coperto del Figini e il Rebecchino

L'idea di una via che collegasse piazza Duomo e piazza della Scala avvenne in conseguenza di uno dei tanti dibattiti che da tempo animavano la città, promosso nel 1839 da Carlo Cattaneo, circa il rifacimento della zona antistante al duomo di Milano, allora più piccola e irregolare e definita da molti non degna della cattedrale della città. La viabilità della zona era inoltre tortuosa e intricata, basata com'era su strette vie di origine medievale e diveniva sempre meno gestibile col crescere del traffico cittadino[4]. L'idea di dedicare questa nuova via al re Vittorio Emanuele II venne da un lato come conseguenza dell'entusiasmo per un'indipendenza ritrovata dall'Austria, ma dall'altro lato la giunta comunale sperava in questo modo di ottenere più facilmente i permessi per l'espropriazione dei caseggiati necessari all'opera, allora ottenibili tramite decreto reale. Le iniziali linee guida comunali per il progetto non prevedevano comunque un passaggio coperto, bensì una semplice strada porticata[5]. Nel biennio '59-'60 furono firmati i tre decreti regi che la giunta comunale aspettava: uno per l'esproprio dei palazzi da demolire, uno per la demolizione del coperto dei Figini e del Rebecchino, caseggiati che occupavano allora l'attuale piazza Duomo e che dovevano essere abbattuti per dare alla piazza un aspetto più nobile, e un ultimo decreto per autorizzare una lotteria finalizzata a raccogliere i fondi necessari alla costruzione della nuova via[6].

 Progetto di Mengoni per l'area di piazza Duomo

Ottenuti i permessi per le espropriazioni, il 3 aprile 1860 il Comune di Milano bandì il concorso di realizzazione per la nuova via, i cui progetti sarebbero stati valutati da una commissione appositamente stabilita: nonostante le polemiche per la scarsa pubblicità al concorso indetto dal Comune, al primo bando furono presentati un numero elevatissimo di progetti. Tra tutti, 176 furono selezionati dalla commissione ed esposti alla Pinacoteca di Brera[7][8]: la commissione non decretò alcun vincitore al concorso, ma riformulò delle indicazioni più precise circa le forme del progetto, arrivando alla prima idea di un passaggio coperto e bandendo un secondo concorso nel febbraio 1861[9]. Al secondo progetto giunsero alla fase di valutazione 18 progetti e anche in questo caso il concorso non vide un vincitore[10]. Vennero tuttavia date quattro indennità ai progetti ritenuti più meritevoli: gli architetti Davide Pirovano e Paolo Urbani vennero menzionati rispettivamente per l'uso di un'architettura ispirata al Palladio e per l'architettura eclettica che fondeva forme lombarde e venete, ritenute però entrambe inadatte a contornare il duomo. Più graditi, pur senza risultare vincitori, furono i progetti di Gaetano Martignoni, in cui proponeva una galleria a croce greca per collegare le due piazze e infine Giuseppe Mengoni, che proponeva in un primo progetto una via ispirata ai palazzi comunali del XIV secolo[11].

 Domenico Induno, Posa della prima pietra della Galleria (1865)

Fu così bandito nel 1863 il terzo e ultimo concorso in cui furono valutati solo otto progetti, tre su invito della commissione e cinque presentati spontaneamente, in cui fu decretato vincitore Giuseppe Mengoni, a condizione che fosse disponibile alla revisione di alcune parti del progetto: il Mengoni aveva inizialmente previsto una galleria unica, che verrà poi trasformata nell'effettivo progetto di una galleria a croce, assieme a una serie di piccoli dettagli stilistici che portarono alle forme definitive. Il progetto prevedeva inoltre l'erezione di un palazzo porticato frontale a piazza Duomo e una loggia Reale di fronte all'ingresso della galleria comunicante con la manica lunga del Palazzo Reale: progetti che non vennero mai realizzati[12]. Il palazzo di fronte al duomo avrebbe dovuto prendere il nome di palazzo dell'Indipendenza, in continuità con il motivo risorgimentale della Galleria: al 1876 il progetto di costruzione non era ancora stato abbandonato, tanto che le fondamenta del palazzo erano già gettate, e non sarebbe stato accantonato assieme a quello della loggia del palazzo Reale fino alla morte del Mengoni[13][14].

La costruzione e i primi anni  Inizio dei lavori di costruzione della galleria Vittorio Emanuele (1865)

Assegnato l'appalto della costruzione alla società inglese City of Milan Improvements Company Limited, la cerimonia per la posa della prima pietra da parte del re Vittorio Emanuele II avvenne il 7 marzo 1865 alla presenza di molte autorità tra cui il sindaco di Milano Antonio Beretta, il primo ministro italiano Alfonso La Marmora e diplomatici di vari paesi. I lavori, escluso l'arco trionfale d'ingresso, vennero completati in meno di tre anni, periodo a cui seguì l'inaugurazione ufficiale della Galleria sempre da parte del re[15]. Il completamento dei lavori non avverrà invece in maniera così fluida: nel 1869 fallì la società appaltatrice, il che obbligò il comune a rilevare la Galleria per la cifra di 7,6 milioni di lire dell'epoca. La conclusione effettiva dei lavori sarà solo nel 1878 quando verranno completati l'arco d'ingresso e i portici settentrionali di piazza Duomo. Giuseppe Mengoni non poté tuttavia vedere l'inaugurazione ufficiale della Galleria completa in quanto precipitò da un'impalcatura durante un'ispezione, anche se secondo alcune voci si trattò di un vero e proprio suicidio[16].

A pochi anni dalla sua prima inaugurazione, la Galleria si guadagnò il soprannome di "salotto di Milano"[1] diventando sede della vita borghese cittadina che si dilettava a frequentare i nuovi eleganti negozi, ma soprattutto i ristoranti e caffè: tra i locali insediatisi all'epoca e ancora esistenti si possono ricordare il Caffè Campari, il Caffè Savini – fondato come Caffè Gnocchi – e il Caffè Biffi[17]. La Galleria fu al centro anche delle novità tecnologiche dell'epoca e nel suo primo periodo veniva illuminata a gas: per l'accensione delle lampade sull'ottagono si usava un marchingegno automatico costituito da una piccola locomotiva che accendeva progressivamente i lumi chiamato "rattìn" ("topolino" in milanese), tanto che vedere la procedura automatica di accensione era diventato quasi un rito. Tale rito si ripropose fino al 1883 quando l'illuminazione della Galleria passò all'illuminazione elettrica, anche se già da tre anni il Caffè Gnocchi usava questa, per l'epoca, nuova forma di illuminazione[18].

 Costruzione della galleria Vittorio Emanuele vista dal duomo

Assieme alla vita mondana borghese, la Galleria raccolse sin dai primi anni il fermento della vita politica milanese. La prima manifestazione politica svoltasi al suo interno avvenne il 25 settembre 1867, quando un gruppo di giovani si radunò a causa dell'arresto di Giuseppe Garibaldi avvenuto a Sinalunga: la protesta finì con qualche piccola scaramuccia tra i dimostranti e la polizia[19]. La conseguenza più comune di questa e altre manifestazioni erano le vetrine rotte: nei primi quarant'anni di attività della Galleria se ne ruppero a decine; tuttavia il maggior danno fino alla seconda guerra mondiale venne causato da una violenta grandinata, che il 13 giugno 1874 distrusse alcune vetrate della copertura. Tra gli avvenimenti politici più importanti in Galleria si annoverano gli scontri tra operai in corteo e polizia il 1º maggio 1890 e gli scontri dei moti di Milano, culminati nel cannoneggiamento di Bava Beccaris sulla folla[20][21].

La vita della Galleria si legò indissolubilmente a quella del teatro alla Scala: oltre che punto di transito privilegiato per recarsi a teatro, la galleria Vittorio Emanuele II era divenuta in pochi anni il luogo di raduno di cantanti e musicisti che speravano di essere scritturati nei teatri di tutta la Lombardia[22].

La Galleria fra XX e XXI secolo

Dimenticati i tragici eventi della protesta dello stomaco, agli inizi del Novecento la struttura si affermò ancor di più come punto nevralgico della vita mondana e della scena musicale milanese. Sempre in quegli anni cominciarono a radunarsi tra i bracci della Galleria Tommaso Marinetti assieme ai suoi seguaci che avrebbero dato vita al futurismo. Con lo scoppio della prima guerra mondiale il passaggio coperto divenne teatro politico e di scontro tra interventisti e neutralisti, e fu inevitabilmente teatro delle manifestazioni post belliche che sarebbero sfociate nella nascita dei fasci italiani di combattimento. Con l'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale la Galleria, con il resto della città, fu vittima dei bombardamenti alleati sulla città[23].

 La Galleria dopo i bombardamenti dell'agosto 1943

La Galleria fu tra i monumenti simbolo di Milano a essere maggiormente colpiti dalle incursioni alleate: i bombardamenti avvenuti nel 15 e 16 agosto 1943 distrussero ovviamente la copertura in vetro e parte della copertura metallica, andando quindi a danneggiare le decorazioni interne. I progetti per la ricostruzione non cominciarono prima del 1948 e in relativo ritardo rispetto ad altri simboli di Milano, come ad esempio il Teatro alla Scala, già riedificato due anni prima: ciò fu dovuto in parte ai numerosi dibattiti circa lo stile da tenersi per il restauro della Galleria[24]. Benché fossero state fatte molte proposte che avrebbero modificato i materiali di costruzione, come il rifacimento in vetrocemento della copertura e l'utilizzo di pietra di Vicenza al posto degli stucchi colorati originari, il progetto finale approvato dalla Soprintendenza fu quello più fedele alla struttura originale della galleria, che non fu quindi modificata sostanzialmente[25]. Il restauro della Galleria fu terminato nel 1955; ai lavori seguì una vera e propria seconda inaugurazione il 7 dicembre, festa del santo patrono cittadino, in concomitanza del giorno della prima della Scala[26]. Altri consistenti lavori di restauro furono in seguito eseguiti nel 1967 in corrispondenza del centenario dell'inaugurazione: obiettivo dei lavori furono il pavimento e i suoi mosaici, rattoppati in maniera veloce e poco curata dopo i bombardamenti alleati[27].

Da marzo 2014 ad aprile 2015 la Galleria è stata soggetta al più profondo restauro dalla seconda guerra mondiale, in vista dell'Expo 2015. Il restauro, preceduto da delle profonde analisi precedenti al cantiere in cui si è indagato sui materiali e sulla loro successione storica, ha consentito di riportare gli intonaci della Galleria ai colori originari. Sono seguiti interventi di restauro e pulitura delle superfici in pietra e cemento decorativo. Il restauro ha visto impegnato personale per un totale di 35000 ore di lavoro su 14000 metri quadrati di superfici coinvolte[28]. Per tutelare le attività commerciali e per esigenze di tempo limitato i restauri sono stati portati avanti senza l'uso di impalcature fisse, bensì con un portale semovente ispirato all'impalcatura usata dal Brunelleschi nella costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore[29].

La sera del 7 agosto 2023, verso le 22:00, tre giovani writers incappucciati hanno imbrattato con vernici spray la sommità della Galleria, poco sopra l'arco d'ingresso[30]. Il mattino del 9 agosto una squadra di operai del Comune di Milano ha provveduto a cancellare le scritte con uno strato di vernice bianca.[31]

^ a b Di Vincenzo, p. 31. ^ Di Vincenzo, p. 26. ^ Di Vincenzo, p. 30. ^ Gioeni, pp. 23-24. ^ Gioeni, p. 25. ^ Di Vincenzo, p. 70. ^ Gioeni, pp. 26-28. ^ Gioeni, p. 35. ^ Di Vincenzo, p. 73. ^ Gioeni, p. 36. ^ Gioeni, pp. 38-40. ^ Gioeni, pp. 44-46. ^ Sangiuliani, p. 38. ^ Ogliari, p. 37. ^ Di Vincenzo, pp. 76-77. ^ Di Vincenzo, p. 87. ^ Di Vincenzo, p. 89. ^ Di Vincenzo, pp. 79-80. ^ Ogliari, p. 29. ^ Di Vincenzo, p. 84. ^ Di Vincenzo, p. 97. ^ Di Vincenzo, p. 96. ^ Ogliari, pp. 56-62. ^ Gresleri, p. 67. ^ Gresleri, pp. 70-71. ^ Ogliari, p. 64. ^ Ogliari, pp. 78-79. ^ Il processo di restauro, su ingalleria.com. URL consultato il 23 ottobre 2015 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). ^ I ponteggi, su ingalleria.com. URL consultato il 23 ottobre 2015. ^ Follia in Duomo a Milano: tre ragazzi vandalizzano la facciata della Galleria, su milanotoday.it. ^ Milano, rimosse le scritte sulla Galleria Vittorio Emanuele, su tgcom24.mediaset.it.
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