Cappella degli Scrovegni

La cappella degli Scrovegni è una chiesa di Padova, in precedenza cappella privata, divenuta parte dei Musei civici di Padova. Ospita un noto ciclo di affreschi di Giotto dei primi anni del XIV secolo, considerato uno dei capolavori dell'arte occidentale. La navata è lunga 29,88 m, larga 8,41 m e alta 12,65 m; l'abside è costituito da una prima parte a pianta quadrata, profonda 4,49 m e larga 4,31 m, e da una successiva, a forma poligonale a cinque lati, profonda 2,57 m e coperta da cinque unghiature nervate. La superficie affrescata è di circa 700 mq., compresi i circa 180 mq. della volta dip...Leggi tutto

La cappella degli Scrovegni è una chiesa di Padova, in precedenza cappella privata, divenuta parte dei Musei civici di Padova. Ospita un noto ciclo di affreschi di Giotto dei primi anni del XIV secolo, considerato uno dei capolavori dell'arte occidentale. La navata è lunga 29,88 m, larga 8,41 m e alta 12,65 m; l'abside è costituito da una prima parte a pianta quadrata, profonda 4,49 m e larga 4,31 m, e da una successiva, a forma poligonale a cinque lati, profonda 2,57 m e coperta da cinque unghiature nervate. La superficie affrescata è di circa 700 mq., compresi i circa 180 mq. della volta dipinta quasi solo di azzurro. Dal 2021 fa parte dei patrimoni dell'umanità UNESCO nel sito dei cicli di affreschi del XIV secolo di Padova. I dipinti all'interno della cappella degli Scrovegni diedero il via a una rivoluzione pittorica che si sviluppò in tutto l'arco del Trecento e che influenzò la storia della pittura.

Una replica in scala 1:1 della Cappella degli Scrovegni si trova in Giappone, presso il museo delle arti Otsuka.

Costruzione e decorazione della cappella

La cappella fu commissionata da Enrico degli Scrovegni, figlio di Rinaldo, facoltoso usuraio padovano, che agli inizi del Trecento aveva acquistato da un nobile decaduto, Manfredo Dalesmanini, l'area dell'antica arena romana di Padova. Qui provvide a edificare un sontuoso palazzo, di cui la cappella era oratorio privato e futuro mausoleo familiare. Chiamò ad affrescare la cappella il fiorentino Giotto, il quale, dopo aver lavorato con i francescani di Assisi e di Rimini, era a Padova chiamato dai frati minori conventuali ad affrescare la sala del Capitolo, la cappella delle benedizioni e forse altri spazi nella Basilica di Sant'Antonio[1]. Infondata è la voce secondo cui Enrico Scrovegni avrebbe commissionato la Cappella come atto d'espiazione del peccato commesso dal padre, che Dante Alighieri, qualche anno dopo la conclusione del ciclo giottesco, pone all'Inferno tra gli usurai[2].

Sebbene storicamente l'edificio sia sempre stato definito come titolato alla Vergine Annunciata, dopo alcuni studi si è riproposta la titolazione probabilmente ragionata al tempo dello Scrovegni, Santa Maria della Carità, che non ha evidentemente avuto seguito. Quello che è certo è che la chiesa fu sempre solennizzata in occasione della festa dell'Annunciazione (25 marzo) e che poco distante il circuito dell'arena sorse una confraternita laica sotto il nome della Vergine Annunciata, la Scuola dell'Annunciata.

Menzioni antiche trecentesche (Riccobaldo Ferrarese, Francesco da Barberino, 1312-1313) certificano la presenza di Giotto al cantiere. La datazione degli affreschi è deducibile con buona approssimazione da una serie di notizie: l'acquisto del terreno avvenne nel febbraio dell'anno 1300, il vescovo di Padova Ottobono dei Razzi autorizzò la costruzione prima del 1302 (data del suo trasferimento al Patriarcato di Aquileia); la prima consacrazione si ebbe nella ricorrenza della Festa dell'Annunciazione, il 25 marzo 1303; il 1˚ marzo 1304 papa Benedetto XI concesse l'indulgenza a chi avesse visitato la cappella e un anno dopo, sempre nella ricorrenza del 25 marzo (1305), la cappella veniva consacrata. Nell'arco di tempo tra il 25 marzo 1303 e il 25 marzo 1305 si colloca dunque il lavoro di Giotto. Per inciso, nel Giudizio Universale della Cappella, un raggio di luce ogni 25 marzo, al mattino, passa tra la mano di Enrico e quella della Madonna.

Giotto dipinse l'intera superficie interna dell'oratorio con un progetto iconografico e decorativo unitario, ispirato da un teologo agostiniano di raffinata competenza, recentemente identificato da Giuliano Pisani in Alberto da Padova[3]. Tra le fonti utilizzate vi sono molti testi agostiniani, i Vangeli apocrifi dello pseudo-Matteo e di Nicodemo, la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze e, per qualche dettaglio iconografico, le Meditazioni sulla vita di Gesù dello pseudo-Bonaventura, oltre a testi della tradizione medievale cristiana, tra cui Il Fisiologo.

Quando lavora alla decorazione della Cappella il grande maestro dispone di una squadra di una quarantina di collaboratori e si sono calcolate 625 "giornate" di lavoro, dove per giornata non si intende l'arco delle 24 ore, ma la porzione di affresco che si riesce a dipingere prima che l'intonaco si secchi (cioè non sia più “fresco”).

Rifacimento dell'abside

Nel gennaio del 1305, quando i lavori alla cappella stavano per concludersi, gli Eremitani, che vivevano in un convento li vicino, protestarono con veemenza perché la costruzione della cappella, andando oltre gli accordi presi, si stava trasformando da oratorio in una vera e propria chiesa con tanto di campanile, creando dunque concorrenza alle attività degli Eremitani. Si ignora come la vicenda si sia conclusa, ma è probabile che in seguito a queste rimostranze la Cappella degli Scrovegni abbia subito l'abbattimento della monumentale parte absidale con ampio transetto (documentata nel "modellino" dipinto da Giotto nell'affresco in controfacciata), dove lo Scrovegni aveva progettato di inserire il proprio mausoleo sepolcrale: la datazione più tarda degli affreschi dell'abside (post 1320) confermerebbe questa ipotesi[4].

La zona absidale, che tradizionalmente è la più significativa di un edificio sacro e che ospita anche la tomba di Enrico e della sua seconda moglie, Iacopina d'Este, presenta un restringimento inconsueto e trasmette un senso di incompletezza, quasi di disordine. Anche nel riquadro inferiore destro dell'arco trionfale, sopra il piccolo altare dedicato a Caterina d'Alessandria, la perfetta simmetria giottesca è alterata da una decorazione a fresco - con due tondi con busti di sante e una lunetta che rappresenta Cristo in gloria e due episodi della passione, la preghiera nell'orto del Getsemani e la flagellazione -, che crea un effetto di squilibrio. La mano è la stessa che affresca gran parte della zona absidale, un pittore ignoto, il Maestro del coro Scrovegni, che opererebbe nel terzo decennio del Trecento, una ventina d'anni dopo la conclusione del lavoro di Giotto. Il punto focale del suo intervento sono sei grandi scene sulle pareti laterali del presbiterio, dedicate all'ultima fase della vita terrena della Madonna, coerentemente con il programma affrescato da Giotto.

Periodo moderno

La cappella era originariamente collegata attraverso un ingresso laterale al palazzo Scrovegni, abbattuto nel 1827 per ricavarne materiali preziosi e far spazio a due condomini. Il palazzo era stato fatto erigere seguendo il tracciato ellittico dei resti dell'antica arena romana. La cappella fu ufficialmente acquisita dalla municipalità di Padova con atto notarile nel 1881, un anno dopo il mandato del Consiglio Comunale nella seduta del 10 maggio 1880. Subito dopo l'acquisto i condomini furono abbattuti e la cappella fu oggetto di restauri, non sempre felici. Nel giugno del 2001, dopo vent'anni di indagini e studi preliminari, l'Istituto Centrale per il Restauro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Comune di Padova avviarono il completo restauro degli affreschi di Giotto, sotto la guida di Giuseppe Basile. Un anno prima erano stati completati gli interventi sulle superfici esterne dell'edificio e si era inaugurato l'adiacente Corpo Tecnologico Attrezzato (CTA), dove i visitatori, in gruppi di massimo venticinque per volta, sono chiamati a sostare una quindicina di minuti (durante i quali fruiscono di alcuni audiovisivi) per sottoporsi a un processo di deumidificazione e depurazione dalle polveri. Nel marzo del 2002 la Cappella fu riconsegnata al mondo in tutto il suo ritrovato splendore. Restano aperti alcuni problemi, come l'allagamento della cripta sottostante la navata per la presenza di una falda acquifera e i cordoli in cemento introdotti agli inizi degli anni 1960 in sostituzione degli originali lignei, che hanno arrecato evidenti ripercussioni sulla diversa elasticità dell'edificio.

^ Lacerti di quella decorazione, in gran parte perduta o quanto meno celata sotto un rifacimento rinascimentale, sono visibili ancor oggi nella sala del Capitolo. ^ Dante, Inferno, XVII, 64-66. ^ Giuliano Pisani, I volti segreti di Giotto, Rizzoli, Milano 2008 (Editoriale Programma 2015). Si veda il volume Alberto da Padova e la cultura degli Agostiniani, a cura di F. Bottin, Padova University Press, 2014. ^ Decio Gioseffi, Giotto architetto, Milano: Edizioni di Comunità, 1963. Analoga e più ampia dimostrazione in Pisani, I volti segreti..., cit., pp. 277 e 292-3.
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