La Valle dei Templi è un parco archeologico della Sicilia caratterizzato dall'eccezionale stato di conservazione e da una serie di importanti templi dorici del periodo ellenico. Corrisponde all'antica Akragas, monumentale nucleo originario della città di Agrigento.

Dal 1997 l'intera zona è stata inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità redatta dall'UNESCO. È considerata un'ambita meta turistica, oltre ad essere il simbolo della città e uno dei principali di tutta l'isola.

Dal 2000 l'area è parco archeologico della Regione Siciliana che, con i suoi 1.300 ettari, è il più grande parco archeologico d’Europa e del Mediterraneo.

Età antica
  Lo stesso argomento in dettaglio: Akragas e Sicelioti.
 Pianta dell'antica Akragas. Sono segnati i fiumi Akragas e Hypsas (blu), le strade (giallo), le mura (rosso) e le porte della città (I-IX). I numeri corrispondono ai principali luoghi cittadini: 1.Tempio di Efesto; 2. Kolymbethra; 3. Santuario delle divinità ctonie, Tempio dei Dioscuri e Tempio L; 4. Olympeion; 5. Tomba di Terone e necropoli ellenistica-romana; 6. Tempio di Esculapio; 7. Tempio di Eracle; 8. Tempio della Concordia e necropoli paleocristiana; 9. Tempio di Giunone; 10. Basilicula (o Martyrium); 11. Santuario rupestre di Demetra; 12. Tempio di Demetra; 13. Quartiere ellenistico-romano; 14. Agorà superiore (oggi Museo regionale "Pietro Griffo"); 15. Ekklesiastérion e Oratorio di Falaride; 16. Bouleutérion; 17. Tempio di Atena; 18. Tempio di Zeus Atabyrios.

Nel 581 a.C. alcuni coloni provenienti da Gela e da Rodi fondarono una nuova città col nome di Ἀκράγας (Akragas) in un luogo strategico, vicino al mare e protetto dalle alture della Rupe Atenea e di Girgenti a nord e dalla Collina dei Templi a sud, nonché circondato dal corso dei fiumi Akragas (odierno torrente San Biagio) a est e Hypsas (odierno torrente Santa Anna) a ovest[1]. L'insediamento si dotò di un ampio sistema difensivo, consistente in un circuito di mura lungo dodici chilometri e dotato di nove porte di accesso che sfruttava le caratteristiche topografiche del luogo.[2] Alla fine del VI secolo a.C. risalirebbe anche la costruzione del primo grande tempio, quello dedicato ad Eracle, che sorse a ridosso di una delle porte più importanti della città, la cosiddetta Porta Aurea.[1][3]

Akragas conobbe diverse tirannidi prima con Falaride (570-554 a.C.) ed infine con Terone (488-473 a.C.), il quale diede particolare impulso all'espansionismo militare della città con la vittoria sui Cartaginesi nella battaglia di Himera (480 a.C.). Seguì un periodo democratico instaurato dal filosofo Empedocle (446-444 a.C.).[1] I grandi templi dorici, costruiti nel corso del V secolo a.C. in segno di ringraziamento agli dèi per la vittoria sui Cartaginesi, testimoniano la prosperità raggiunta in questo periodo storico dalla città (che arrivò a toccare i 20.000 abitanti), tanto da suscitare l'ammirazione del poeta Pindaro: uno dopo l'altro furono innalzati, quasi a formare una corona intorno al centro abitato, il Tempio di Atena sul colle di Girgenti, il Tempio di Demetra sulle pendici della Rupe Atenea e il Tempio detto L (480-460 a.C.), quelli detti di Giunone e dei Dioscuri (450 a.C.), il Tempio detto della Concordia e di Efesto (440-430 a.C.), il santuario d'Esculapio fuori le mura (420-410 a.C.), dove fu collocata una statua d'Apollo opera del celebre scultore greco Mirone[4], per non parlare dell'Olympeion, dedicato a Zeus Olimpio e considerato il più grande tempio dorico dell'antichità classica, sicuramente iniziato nel 480 a.C. e proseguito almeno fino al 406 a.C. ma mai completato.[1][2][3] Durante il suo apogeo, la pianta urbanistica di Akragas era a griglia con sei larghi viali (plateiai) incrociati da trenta strade più strette (stenopòi) ed era così suddivisa: la Rupe Atenea era sede dell’acropoli con funzione sacra e difensiva, la Collina dei Templi ospitava i santuari dedicati alle divinità e la zona centrale le abitazioni civili e gli edifici pubblici mentre più a valle, fuori dalla cinta muraria, sorgeva l'emporio[5] (odierna frazione balneare di San Leone), ossia lo scalo marittimo dove approdavano le navi commerciali provenienti da Cartagine e dalla Grecia.[1][6] Sotto Terone, grazie all'ingegno dell'architetto Feace, la città si dotò anche di un sistema di cisterne, canali ed acquedotti sotterranei per la raccolta delle acque del suolo che sboccavano in un grande lago artificiale, la famosa Kolymbethra.[1][7]

 Ricostruzione in 3D dell'antica Akragas vista nei pressi della Porta V. Al centro sono visibili il Tempio L e il Tempio dei Dioscuri con il Santuario delle divinità ctonie. Sulla destra, il Tempio di Zeus Olimpio e quello di Eracle.

Dopo l'assedio e il saccheggio subito da parte dei Cartaginesi nel 406 a.C. durante la seconda guerra greco-punica, seguì un periodo di decadenza per Akragas, che fu sottoposta all'Epicrazia punica finché entrò nell'orbita di Siracusa con il condottiero corinzio Timoleonte (339 a.C.), che ricostruì le mura e la ripopolò con nuovi abitanti[1][3][8]. Alle riforme promosse da Timoleonte[1][3] si deve probabilmente la costruzione di nuovi edifici pubblici che occuparono l'area dell'agorà, ossia l'Ekklesiastérion (sede dell'ekklesia, l'assemblea popolare) e il Bouleuterion (sede della boulè, l'assemblea dei rappresentanti eletti dal popolo)[9][10].

Dopo alcuni tentativi di liberarsi dell'influenza siracusana, Akragas tornò nuovamente sotto il giogo cartaginese fino al 210 a.C. quando passò definitivamente sotto il dominio romano, che latinizzò il nome della città in Agrigentum e la trasformò in civitas decumana, cioè tenuta a versare annualmente la decima parte del raccolto a Roma[11][12]. Nei primi due secoli dopo la conquista romana furono eretti sempre nell'area dell'agorà il teatro[2][13][14] e un tempietto (falsamente attribuito al tiranno Falaride) che sorse sull'Ekklesiastérion ormai abbandonato[15]. Ad ovest dell'agorà si sviluppò anche un nuovo quartiere in cui si concentrarono abitazioni di lusso (domus) e botteghe artigiane: esso presentava una pianta a griglia uguale al centro abitato greco con quattro strade strette (cardi) che incrociano tre viali larghi (decumani)[16].

Racconta Cicerone nelle sue Verrine che nel 73 a.C. Verre, governatore romano della Sicilia, fece rubare la famosa statua d'Apollo dal Tempio di Esculapio e poi mandò degli uomini a sottrarre anche quella di Ercole dal Tempio omonimo ma questo tentativo fu bloccato dalla reazione violenta dei cittadini di Agrigentum armati di bastoni.[3][17]

Nel 22 a.C., a causa della riforma voluta dall'imperatore Augusto, Agrigentum divenne municipium, cioè poteva assumere una certa autonomia da Roma ed avere perciò magistrature proprie[18]. Nel periodo successivo (I secolo d.C.) furono terminati il foro (piazza) con triportico colonnato ed adiacente santuario a tempietto (forse un iseion, cioè dedicato alla dea Iside) ma anche il ginnasio (palestra).[19][20][21][22][23]

Età medievale

A partire dal VI secolo d.C., a causa delle invasioni barbariche, l'antica Agrigentum si spopolò ed il centro abitato si spostò oltre la vecchia cinta muraria, verso la parte alta del colle di Girgenti, dove si svilupperà la città medievale e poi moderna[3]. La Collina dei Templi perse così la sua importanza, venendo adibita in un primo tempo a luogo di sepoltura per i primi cristiani (come dimostrano le numerose necropoli, risalenti già all'età romana)[24][25] e poi a luogo destinato all'artigianato e all'allevamento.[2] Nel 597 l'area, ormai esclusa dall'abitato, fu trasformata in luogo di culto cristiano dal vescovo Gregorio, che decise di trasferire la cattedrale nel Tempio della Concordia consacrandola al culto degli Apostoli Pietro e Paolo e distruggendo gli idoli pagani.[3][26][27]

Nel 1154, Al-Idrisi, geografo arabo alle dipendenze del re normanno Ruggero II, fece un vago cenno indiretto alla bellezza paesaggistica ed architettonica dei templi in rovina nella sua famosa opera geografica Il libro di Ruggero, probabilmente dopo averli visitati di persona[28].

Nel corso dei secoli successivi, l'area fu completamente abbandonata ed utilizzata esclusivamente per ricavare i blocchi necessari alla costruzione della nuova città di Girgenti e del molo antico di Porto Empedocle.[2]

Età moderna e contemporanea  Veduta di Agrigento (1778), dipinto di Jakob Philipp Hackert, conservato all'Ermitage di San Pietroburgo.[29] L'antica città di Agrigento (1780), dipinto di Pierre-Henri de Valenciennes esposto al Louvre di Parigi.

Dopo secoli di totale abbandono, i Templi furono studiati nel '500 dal frate domenicano Tommaso Fazello, che ne visitò i resti per la scrittura della sua grande opera storica De rebus Siculis (1558)[30][31], e poi nel '600 dal geografo tedesco Filippo Cluverio, il quale si trovava in Sicilia per le sue ricerche[32][33]. Il sito fu tuttavia riscoperto soltanto nel corso del XVIII secolo grazie allo studioso tedesco Johann Joachim Winckelmann (considerato il padre dell'archeologia moderna e della storia dell'arte)[34], che ne descrisse la bellezza in un famoso trattato d'architettura ispirato dagli studi effettuati sul posto dal monaco teatino toscano Giuseppe Maria Pancrazi tra il 1751 ed il 1752[35]. L'ascendente di Winckelmann fu determinante per i viaggiatori europei del Grand Tour, che resero la Valle dei Templi una tappa obbligata del loro viaggio: tra i più celebri di essi possiamo ricordare Johann Hermann von Riedesel, Jacques Philippe D'Orville, Patrick Brydone, Jean-Pierre Houël, Jean-Claude Richard de Saint-Non, Karl Friedrich Schinkel ma soprattutto Johann Wolfgang von Goethe, che ne parlò ampiamente nel suo Viaggio in Italia (1816) e ne rimase affascinato.[32][36][37]

 Il Tempio della Concordia raffigurato in un'illustrazione di J.C.R. de Saint-Non (1786).

Grazie all'operato di Gabriele Lancillotto Castello, Principe di Torremuzza (1727-1794), incaricato della conservazione del patrimonio archeologico siciliano dal re Ferdinando IV di Borbone, si effettuò il restauro dei Templi della Concordia e di Giunone (1787-1788) realizzato dal regio architetto Carlo Chenchi.[38][39][40] Le sue orme furono seguite dall'archeologo Domenico Lo Faso Pietrasanta, Duca di Serradifalco (1783-1863), nominato nel 1827 primo presidente della Commissione di antichità e belle arti per la Sicilia, che curò la maggior parte degli scavi e la ricostruzione del Tempio dei Dioscuri[3][41][42].

 Villa Aurea con in primo piano il busto di Sir Alexander Hardcastle.

Durante gli anni '20 del XX secolo, le ricerche archeologiche furono generosamente finanziate da Sir Alexander Hardcastle, il quale nel 1925 acquistò una proprietà nella zona, la cosiddetta Villa Aurea, e collaborò con l'archeologo Pirro Marconi, incaricato della direzione degli scavi da Paolo Orsi, Soprintendente alle Antichità classiche della Sicilia[3]. Fu durante queste campagne che si realizzarono il raddrizzamento delle otto colonne sul lato sud del tempio di Eracle, il ritrovamento dei quattro telamoni dell'Olympeion, del santuario delle divinità ctonie e del Tempio di Demetra, nonché l'abbattimento delle case coloniche sorte sui resti del Tempio di Asclepio e di quello di Efesto.[3][43][44] Per i suoi contributi agli scavi, Sir Hardcastle fu nominato cittadino onorario della città di Agrigento, con la concessione dell'onorificenza di Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia.[45]

Nel corso del '900, notevoli furono le campagne di scavo condotte dagli archeologi Antonino Salinas (1900)[46], Catullo Mercurelli (1940-41) e Pietro Griffo (anni '50), che riportarono gradualmente alla luce le necropoli paleocristiane, le strutture ipogee di Villa Aurea, i resti dell'Agorà superiore e del quartiere ellenistico-romano.[3][27][47] Nel 1967 fu finalmente inaugurato il Museo archeologico regionale, fortemente voluto da Pietro Griffo, cui poi fu intitolato[47][48].

Ai primi anni 2000 risalgono gli scavi nel tempietto romano situato nel poggio San Nicola condotti dall'equipe dell'archeologo Ernesto De Miro, ex Sovrintendente ai beni culturali di Agrigento, che hanno portato alla scoperta di altre due statue togate marmoree prive di testa che un tempo abbellivano il triportico del foro romano.[20]

La nascita del Parco archeologico e il problema dell'abusivismo edilizio

La Valle dei Templi fu sottoposta a tutela a seguito della gravissima frana che nel 1966 distrusse interi quartieri di Agrigento: venne emanato il decreto-legge 30 luglio 1966, n. 590 (convertito con la legge 28 settembre 1966, n. 749)[49], con cui la Valle dei Templi veniva dichiarata “zona archeologica di interesse nazionale”, mentre il perimetro della zona sottoposta a vincolo venne concretamente individuato dal decreto interministeriale del 16 maggio 1968 emanato dai ministri della pubblica istruzione Luigi Gui e dei lavori pubblici Giacomo Mancini (c.d. decreto Gui-Mancini), poi modificato con decreto ministeriale del 7 ottobre 1971 (c.d. decreto Misasi-Lauricella), che suddivisero l'area vincolata in cinque zone denominate rispettivamente "A", "B", "C", "D" e "E", la prima dichiarata di assoluta inedificabilità e tutte le altre di edificabilità parziale.[50]

Nonostante questi provvedimenti di legge, la Valle dei Templi fu interessata da casi di abusivismo edilizio, denunciati per diversi decenni dall'allora Sovrintendente ai beni culturali di Agrigento, Graziella Fiorentini, e dagli attivisti locali di Legambiente rappresentati da Giuseppe Arnone[51][52][53][54]. Secondo una stima del 1988, nell'area sorgevano circa duemila costruzioni realizzate in assenza di autorizzazione o concessione edilizia, di cui 500 nella zona "A" dichiarata di inedificabilità assoluta.[52][55]

Una legge regionale del 1985 (legge 10 agosto 1985, n. 37) prevedeva una nuova perimetrazione della Valle dei Templi ma demandò la definizione della sua estensione al Presidente della Regione Siciliana Rino Nicolosi, il quale, con un decreto arrivato soltanto nel 1991 tra varie contestazioni e polemiche (D.P.R.S. n. 91/1991, c.d. decreto Nicolosi)[50], stabiliva che i confini del Parco archeologico della Valle dei Templi coincidevano con quelli della zona "A" ed ampliava l'estensione della zona "B".[53]

Dopo la promulgazione del decreto Nicolosi, una lettera aperta pubblicata sul quotidiano Repubblica e firmata da diversi intellettuali quali Umberto Eco, Massimo Cacciari, Leonardo Benevolo, Corrado Stajano e Tullio De Mauro auspicava la realizzazione effettiva del Parco archeologico della Valle dei Templi e l'esproprio delle costruzioni abusive.[56]

Il 9 maggio 1993 la Valle dei Templi ricevette la visita solenne di Papa Giovanni Paolo II, il quale durante la celebrazione eucaristica nel piano San Gregorio nei pressi del Tempio di Esculapio (dove fu eretta un'artistica croce in ferro per ricordare l'avvenimento)[57] colse l'occasione per lanciare uno storico e particolarmente duro appello ai mafiosi per la loro conversione[58][59].

La Regione Siciliana con la legge regionale n. 20 del 2000 istituì ufficialmente il "Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento", che si sviluppa per circa 1.300 ettari, che ha come finalità la tutela e la valorizzazione dei beni archeologici, ambientali e paesaggistici della Valle dei Templi.[60]

Dopo anni di rinvii e sospensioni[61], la demolizione delle costruzioni abusive iniziò nel 2000 con l'abbattimento di un magazzino ai piedi del Tempio di Giunone confiscato ad un boss mafioso[62][63][64] e continuò nel 2001 ma riguardò soltanto sei immobili, abbattuti dal Genio militare tra le proteste dei residenti[65][66][67]. A quattordici anni di distanza, nel maggio del 2015 la Procura di Agrigento, con una lettera inviata all'Ufficio tecnico del Comune di Agrigento, alla Soprintendenza e all'Ente Parco Archeologico, intimò di dare esecuzione alle sentenze emesse e rese esecutive tra il 1992 e il 1999 che disponevano l'abbattimento di tutti gli altri immobili abusivi.[68] A luglio dello stesso anno emise un nuovo richiamo, minacciando stavolta una denuncia per abuso d'ufficio e omissione d'atti d'ufficio.[69][70] Nell'agosto del 2015 le ruspe entrarono in azione per dare il via alle prime demolizioni[71][72], che continuarono nel mese di settembre e di ottobre.[73] Nel gennaio 2016 venne pubblicato il bando per la seconda tranche di demolizioni nella zona "A".[74] Nel febbraio 2016 le ruspe tornarono in azione.[75][76] e a fine maggio venne completata la prima tranche di demolizioni.[77][78] Ad ottobre 2016 la procura di Agrigento invia il secondo elenco di immobili da abbattere, che comprendeva tredici manufatti abusivi, di cui quattro già demoliti nei mesi precedenti dagli stessi proprietari.[79] A febbraio del 2017 venne appaltata la seconda tranche di demolizioni.[80][81]

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