Piazza della Repubblica (Firenze)

Piazza della Repubblica è una piazza del centro storico di Firenze di forma rettangolare grande circa 75 m per 100 m. È il risultato più conosciuto dell'epoca del "Risanamento", quando fu ridefinita l'urbanistica della città in seguito all'insediamento della capitale del Regno d'Italia a Firenze (dal 1865 al 1871). Si accede alla piazza da via degli Speziali, Calimala, via Pellicceria, via degli Strozzi, via dei Brunelleschi o via Roma (dove è il canto dei Dadaioli, dal nome dei giocatori di dadi della bische nel Ghetto).

Il foro romano
  Lo stesso argomento in dettaglio: Foro romano di Florentia.
 Il plastico delle Terme di Florentia, Museo di Firenze com'era

Piazza della Repubblica è il centro della città sin dall'epoca romana. Qui si incontravano il cardo e il decumanus maximi di Florentia e vi si apriva il foro: il Cardo corrisponde a via Roma, via Calimala e via Por Santa Maria, invece il Decumano corrisponde a via del Corso, via degli Speziali e via degli Strozzi. Tracce archeologiche sono state ritrovate all'epoca delle demolizioni ottocentesche, come resti di edifici, di un complesso termale verso sud, di edifici di culto. Via del Campidoglio e via delle Terme per esempio furono nominate in seguito ai rispettivi ritrovamenti archeologici. Sul lato meridionale della piazza del foro si apriva un arco d'ingresso, mentre il lato nord era delimitato da un muro di recinzione; a est e sud si trovavano edifici pubblici; il tempio Capitolino era a ovest, più o meno dove oggi stanno i portici, posto su un podio quadrangolare di circa tre metri, accessibile da scalinata, del quale restano le fondazioni. In un secondo momento, verosimilmente l'epoca adrianea, l'area venne monumentalizzata ulteriormente, rialzando e allungando la piazza, con una nuova pavimentazione in marmo lunense più alta di circa un metro e mezzo. Vi si aprivano alcune porte con gradini e un portichetto con statue di magistrati e imperatori[1].

La piazza del Mercato Vecchio e il Ghetto
  Lo stesso argomento in dettaglio: Mercato Vecchio e Ghetto di Firenze.
 La Colonna dell'Abbondanza Giovanni Stradano, Piazza del Mercato Vecchio, palazzo Vecchio, sala di Gualdrada

In epoca alto medievale la zona fu densamente edificata. Prima della realizzazione della quinta cerchia di mura, i cronisti raccontano di come nella città non esistesse più un singolo orto o spazio per il pascolo e le case-torri si stagliassero verso il cielo con uno sviluppo verticale reso necessario dalla mancanza di spazio.

Col tempo questa area mantenne comunque la funzione di luogo di ritrovo, iniziando ad ospitare il mercato, che fu istituzionalizzato dopo l'anno Mille. Tipicamente rispetto anche ad altre città italiane si veniva così a definire lo spazio pubblico destinato ai commerci, al quale si contrapponevano una piazza del Duomo destinata alle questioni religiose e una piazza del Comune (piazza della Signoria) destinata alla politica e agli affari civili.

Nel Cinquecento il Mercato divenne "Vecchio" per la realizzazione della Loggia del Mercato Nuovo vicino al Ponte Vecchio.

La piazza del Mercato Vecchio, corrispondente a circa un terzo della piazza odierna, si estendeva verso sud solo fino a all'asse via degli Speziali-via dei Ferrivecchi (via Strozzi), e aveva al centro l'edificio trecentesco della Beccheria, per il macello e la vendita delle carni, alle cui spalle si trovava dal XVI secolo la loggia del Pesce; attorno a questi due edifici principali si trovavano fitte file di bancarelle e botteghe in muratura e in legno, spesso riparate da tettoie, che lasciavano liberi solo dei vicoli.

Qui si trovava anche il Ghetto ebraico, dove Cosimo I aveva obbligato a risiedere gli ebrei in città, dal 1571. Nel ghetto esisteva una sinagoga italiana e una spagnola o levantina. Inoltre la piazza odierna insiste su un isolato meridionale già intensamente edificato, attorno alla piazza di Sant'Andrea, la via dei Cavalieri e la piazza degli Amieri.

Numerosi erano i tabernacoli e le chiese, oggi sono andati perduti, tuttavia sono ricordati da testimonianze fotografiche, pittoriche e grafiche, soprattutto ottocentesche. Si affacciavano direttamente sulla piazza del Mercato la chiesa di San Tommaso (lato est, dove oggi c'è via Roma e quella di Santa Maria in Campidoglio (angolo nord-ovest, dove oggi si trovano i portici); nei pressi della colonna dell'Abbondanza, alla cantonata con Calimala, c'era anche il tabernacolo di Santa Maria della Tromba, ricostruito poi sul palazzo dell'Arte della Lana. Era questa quindi una delle zone più caratteristiche e nel corso dei secoli aveva mantenuto quasi intatto il tessuto edilizio medievale, con stradine strette ed edifici addossati gli uni agli altri, sebbene spesso degradati.

Di quel periodo resta visibile oggi solo la colonna dell'Abbondanza, dopo il suo ricollocamento nel 1956, in una posizione vicina a quella originaria. È sormontata da una replica in resina di una statua in pietra serena che rappresenta la Dovizia (o l'Abbondanza), copia del 1956 di Mario Moschi di un'opera di Giovan Battista Foggini, che a sua volta sostituiva un'originale di Donatello irrimediabilmente deteriorata nel 1721.

La piazza "risanata"  Piazza del Mercato Vecchio, 1888 circa L'inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II, 20 settembre 1890 Piazza Vittorio Emanuele II, 1896 circa Piazza della Repubblica, 2007

Di un intervento volto al "Risanamento" della zona già negli anni sessanta dell'Ottocento documentano vari materiali conservati presso l'Archivio storico del Comune di Firenze relativi a un progetto definito da Luigi Del Sarto e Edoardo Rimediotti, in questo caso finalizzato alla realizzazione di un moderno "Mercato delle Vettovaglie" in luogo del Mercato Vecchio. Il progetto fu poi ripreso (con diversi presupposti essendosi oramai trasferito il mercato nell'area di San Lorenzo e comunque recuperando della precedente idea il tema dei porticati di perimetro) nei primi anni ottanta, e quindi approvato dall'amministrazione comunale nel 1883, anche con l'obiettivo di rivitalizzare l'economia locale in forte crisi con una imponente operazione immobiliare. A spingere a favore dell'intervento contribuì non poco il libro Firenze sotterranea, del giornalista Jarro (Giulio Piccini), pubblicato per la prima volta nel 1881 e più volte ristampato negli anni seguenti, che descriveva e denunciava le condizioni igienico sanitarie della zona, enfatizzando il degrado anche morale della popolazione che qui viveva.

Nel 1885 un disposto legislativo che attribuiva ai comuni ampie facoltà in materia di espropri per pubblica utilità dette il definito impulso all'impresa, sollecitata da più parti anche per il paventato pericolo di una epidemia di colera. A definire il nuovo assetto della zona contribuirono vari architetti e ingegneri che operarono comunque nell'ambito di un progetto generale stilato dall'ingegnere Odoardo Rimediotti (progetto definitivamente approvato nel 1888).

La decisione di ampliare la piazza comportò la distruzione totale di edifici di grande importanza: le torri medievali, le chiese, le sedi corporative delle Arti, alcuni palazzi di nobili famiglie, nonché botteghe artigiane e abitazioni. L'operazione venne presentata come necessaria per risanare le condizioni igienico-sanitarie dell'area, ma anche fu soprattutto legata alla speculazione edilizia ed alla volontà di legittimazione dell'emergente classe borghese, protagonista delle vicende italiane immediatamente successive all'Unità.

La città subì di fatto una enorme perdita, in minima parte risarcita dal salvataggio di monumenti come la Loggia del Pesce del Vasari che viene smontata e rimontata in piazza dei Ciompi. Molti pezzi d'arte e anche frammenti architettonici alimentarono il mercato antiquario, e solo una parte di essi venne salvata nel lapidario del Museo di San Marco, mentre altri sono tornati alla città con donazioni come quelle che hanno permesso l'istituzione del Museo Bardini e del Museo Horne. Artisti come Telemaco Signorini ritrassero con malinconia questo pezzo di città che andava scomparendo.

Nel 1888, dopo la demolizione delle catapecchie del centro del mercato, era riapparsa l'antica piazza del Mercato Vecchio, con la Loggia, la Colonna dell'Abbondanza e la chiesa di San Tommaso, ma agli oculati restauri si preferì procedere con uno smantellamento più radicale. La piazza venne ampliata verso sud, a spese della piazza e del vicolo degli Amieri e piazza Sant'Andrea) atterrando tutti gli edifici in modo da ampliare lo spazio e conferire centralità all'asse definito da via degli Speziali e via degli Strozzi, precedentemente del tutto decentrato rispetto alla piazza.

Il 20 settembre 1890, con i cantieri ancora aperti per ricostruire i palazzoni nella piazza, venne inaugurato alla presenza del re il monumento a Vittorio Emanuele II a cavallo, che diede il nome di allora alla piazza. Una foto antica risalente al giorno dell'inaugurazione mostra gli edifici della piazza ancora incompleti e coperti da teli come scenografie di fortuna per la cerimonia civile solenne. La statua, opera celebrativa e piuttosto retorica, non piacque ai fiorentini, come testimonia un pungente sonetto di Vamba, che lo apostrofò come "Emanuele a corpo sciorto". Oggi la statua si trova nel piazzale delle Cascine.

I palazzi che sorsero nella nuova piazza, definiti amaramente da Telemaco Signorini «porcherie», seguivano il gusto ufficiale e borghese del periodo ed erano stati progettati da architetti allora molto in voga: Vincenzo Micheli, Luigi Buonamici, Giuseppe Boccini. A seguito di questa trasformazione, la piazza divenne una sorta di "salotto buono" della città; vi si affacciarono nuovi palazzi signorili, alberghi di lusso, grandi magazzini ed eleganti caffè, tra cui il noto Caffè Le Giubbe Rosse, luogo d'incontro e scontro di letterati e artisti di fama.

I portici con l'arco di trionfo, detto l'"Arcone", vennero disegnati dal Micheli e si ispiravano alla più aulica architettura rinascimentale fiorentina. L'altisonante iscrizione che domina la piazza fu dettata, pare, da Isidoro del Lungo:

«L'ANTICO CENTRO DELLA CITTÀ
DA SECOLARE SQUALLORE
A VITA NUOVA RESTITUITO»

I risultati dell'intervento furono dunque subito aspramente criticati da molti intellettuali, storici e cronisti, sia per gli esiti conseguiti dai nuovi fabbricati (in cui la tradizione poggiana si stempera a favore di un gigantismo ben poco locale e che molto deve alle coeve esperienze architettoniche romane), sia, soprattutto, per la distruzione di un'area della città che conservava memorie artistiche e storiche di straordinaria importanza. A questo proposito è da ricordare come, contemporaneamente ai lavori di demolizione, l'architetto Corinto Corinti, direttore tra il 1890 e il 1895 dell'Ufficio tecnico di vigilanza del Comune di Firenze, provvedesse a dare vita a una importante campagna di rilevamento, che rimane testimonianza - assieme agli studi di Guido Carocci, soprintendente alla Conservazione dei monumenti, agli scavi condotti da Luigi Adriano Milani, direttore del Regio museo Archeologico, e ai recentissimi rilievi (2018) realizzati dalla Soprintendenza in occasione del rifacimento della pavimentazione a lastrico della piazza - della storia e delle tante memorie che il luogo conservava.

La piazza odierna  Portici

La statua di Vittorio Emanuele II venne rimossa nel 1932 e spostata alle Cascine, quando nello stesso periodo un progetto di Marcello Piacentini (non attuato) avrebbe dovuto anche demolire l'arcone e sostituirlo con due edifici gemelli dagli angoli smussati, in stile razionalista. Nell'aprile del 1947 la piazza cambiò nome in «piazza della Repubblica», in onore della Repubblica Italiana, proclamata nel 1946, per quanto nel parlare dei fiorentini la piazza fosse a lungo indicata con il termine di piazza Vittorio. Nel 1956 vi venne ricollocata la colonna dell'Abbondanza, in un punto leggermente più a est che in origine, per non ingombrare la carreggiata.

Nel frattempo la piazza era diventata il ritrovo degli artisti e dei lettarati, nei suoi caffè storici come Le Giubbe Rosse, Paszkowski, Gilli, Gambrinus: vi si riuniva all'epoca del Futurismo e di Lacerba, de La Voce e del Leonardo, il più vivace cenacolo letterario e artistico di Firenze. Fu teatro per esempio della rissa tra i futuristi milanesi di Marinetti e gli artisti fiorentini raccolti intorno alla rivista La Voce, sulla quale Ardengo Soffici pubblicò un articolo che attaccava i rivali futuristi. Dopo la prima guerra mondiale la piazza fu teatro di scontri per le lotte politiche, fino all'avvento del fascismo. E poi tornò a essere frequestata dai rappresentanti dell'Ermetismo, attorno a Eugenio Montale, e i giovani pittori fiorentini, intorno a Ottone Rosai e Primo Conti, oltre a Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Dino Campana, Elio Vittorini, Tommaso Landolfi, Antonio Bueno, Silvio Loffredo e molti altri.

Nel dopoguerra la piazza si è aperta al turismo internazionale, e questo è forse l'aspetto che la caratterizza di più oggi. A distanza di più di un secolo dall'intervento, è ora forse giunto il momento di studiare la piazza (che continua ad essere il centro della città e in quanto tale punto d'incontro dei fiorentini così come dei turisti) anche in ragione delle realizzazioni ottocentesche, oramai storicizzate e oramai da leggere, indipendentemente dalle demolizioni che le hanno generate, come uno degli episodi della cultura architettonica tardo ottocentesca.

^ Per il paragrafo Pagina del Museo dei Ragazzi
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