La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, è un dipinto a olio su tavola di pioppo realizzato da Leonardo da Vinci (77 × 53 cm e 13 mm di spessore), databile al 1503-1506 circa e conservato nel Museo del Louvre di Parigi col numero 779 di catalogo.
Opera iconica ed enigmatica della pittura mondiale, si tratta sicuramente del ritratto più celebre della storia nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto. Il sorriso quasi impercettibile del soggetto, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, letteratura, opere di immaginazione e persino studi psicoanalitici; sfuggente, ironica e sensuale, la Monna Lisa è stata di volta in volta amata e idolatrata, ma anche irrisa e vandalizzata.
La Gioconda viene ammirata ogni giorno da circa trentamila visitatori, ovvero l'80% dei visitatori ...Leggi tutto
La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, è un dipinto a olio su tavola di pioppo realizzato da Leonardo da Vinci (77 × 53 cm e 13 mm di spessore), databile al 1503-1506 circa e conservato nel Museo del Louvre di Parigi col numero 779 di catalogo.
Opera iconica ed enigmatica della pittura mondiale, si tratta sicuramente del ritratto più celebre della storia nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto. Il sorriso quasi impercettibile del soggetto, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, letteratura, opere di immaginazione e persino studi psicoanalitici; sfuggente, ironica e sensuale, la Monna Lisa è stata di volta in volta amata e idolatrata, ma anche irrisa e vandalizzata.
La Gioconda viene ammirata ogni giorno da circa trentamila visitatori, ovvero l'80% dei visitatori del Museo del Louvre in cui è esposta, tanto che nella grande sala in cui si trova, un cordone deve tenere a debita distanza le persone. Nella lunga storia del dipinto non sono infatti mancati i tentativi di vandalismo, nonché un furto rocambolesco, che ne hanno alimentato la popolarità.
La tradizione sostiene che l'opera rappresenti Lisa Gherardini, cioè "Monna" Lisa (un diminutivo di "Madonna" derivante dalla parola latina "Mea domina" che oggi avrebbe lo stesso significato di "mia signora"), moglie di Francesco del Giocondo (quindi la "Gioconda"). Leonardo dopotutto, in quel periodo del suo terzo soggiorno fiorentino, abitava una casa dell'Arte dei Mercatanti in via de' Gondi (oggi distrutte) a pochi passi da piazza della Signoria, che erano proprio di un ramo della famiglia Gherardini di Montagliari.
Questa apparentemente facile identificazione ha come fonti antiche un documento del 1525 in cui vengono elencati alcuni dipinti che si trovano tra i beni di Gian Giacomo Caprotti detto "Salaì", allievo di Leonardo che seguì il maestro in Francia, dove l'opera è menzionata per la prima volta "la Joconda";[1] lo stesso Vasari scrisse che "Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontainebleau", dilungandosi poi in una serie di lodi del dipinto, in realtà piuttosto generiche.
Gli occhi della GiocondaAlcuni dubbi sono sorti a partire dalla descrizione di Giorgio Vasari, che parla della peluria delle sopracciglia magnificamente dipinta (ma la Gioconda non ne ha) e che esalta le fossette sulle guance (pure assenti). Ciò è comunque spiegabile con la particolare storia del dipinto, che seguì Leonardo fino alla sua morte in Francia e che venne ritoccato per anni e anni dall'artista. Vasari infatti potrebbe aver attinto la sua descrizione dal ricordo dell'opera com'era visibile a Firenze fino al 1508, quando il pittore lasciò la città; alcune analisi ai raggi X hanno mostrato che ci sono tre versioni della Monna Lisa, nascoste sotto quella attuale.
A sostegno delle testimonianze del Vasari, nel 2005 Veit Probst, storico e direttore della Biblioteca di Heidelberg in Germania, ha pubblicato un altro appunto del cancelliere fiorentino Agostino Vespucci, datato 1503, che conferma l'esistenza di un ritratto di Lisa del Giocondo:
«Apelles pictor. Ita Leonardus Vincius facit in omnibus suis picturis, ut enim caput Lise del Giocondo et Anne matris virginis. Videbimus, quid faciet de aula magni consilii, de qua re convenit iam cum vexillifero. 1503 octobris.»
«[Come] il pittore Apelle. Così fa Leonardo da Vinci in tutti i suoi dipinti, ad esempio per la testa di Lisa del Giocondo e di Anna, la madre della Vergine. Vedremo cosa ha intenzione di fare per quanto riguarda la grande sala del Consiglio, di cui ha appena siglato un accordo con il gonfaloniere. Ottobre 1503.»
Nell'attuale catalogo ragionato di Leonardo da Vinci (2018), solo Isabella d'Este è documentata come alternativa plausibile.[3]
Isabella d'Este (1474-1539) fu margravia di Mantova e la più famosa mecenate del suo tempo. Leonardo da Vinci era il pittore di corte della sorella Beatrice d'Este nel Ducato di Milano. Nel 1499, Leonardo fuggì alla corte di Isabella d'Este dopo l'espulsione degli Sforza (suoi datori di lavoro). Nell'arco di tre mesi, Leonardo realizzò diversi disegni di Isabella (documentati da lettere).[4] Uno di questi ritratti, il disegno di profilo, è conservato al Louvre e presenta somiglianze visive.[5]
Si conoscono diverse lettere degli anni 1501-1506, in cui Isabella – direttamente e tramite agenti – perseguiva da Vinci con richieste per la promessa esecuzione del ritratto a olio.[6] La Gioconda rientrerebbe proprio in quel periodo.
Le riserve del Louvre riguardano i capelli apparentemente biondi di Isabella d'Este.[7] Tuttavia, i ritratti di Isabella quali la miniatura di Ambras[8] e Isabella in rosso mostrano capelli castani e somiglianze.[9] L'unica eccezione bionda è Isabella in nero.[10] Nonostante la distribuzione, questa identificazione è controversa (al di fuori della documentazione del museo stesso) perché la testa non mostra né l'idealizzazione attraverso la bellezza né somiglianze con i due ritratti sopra citati.[11]
Altre identificazioniAltre identificazioni storicamente proposte sono state Caterina Sforza,[12] e la madre stessa di Leonardo, Caterina Buti del Vacca;[13][14] Isabella d'Aragona, duchessa di Milano nell'anno 1489.[15] Fu quest'ultima a consigliare a Leonardo l'aggiunta nel Cenacolo dell'aureola del quadrato magico del sole.[16] Si è supposto, inoltre, che la nobildonna ritratta appartenesse al casato degli Imperiali.[17] Altri farebbero risalire l'identità a Bianca Giovanna Sforza, figlia primogenita legittimata di Ludovico il Moro, signora di Bobbio e Voghera[18] o a Pacifica Brandani, amante del duca Giuliano de' Medici.[19][20][21][22][23]
La Gioconda in Francia Le maniFu Leonardo stesso a portare con sé il dipinto in Francia nel 1516. Non sappiamo con precisione se Leonardo avesse regalato il dipinto in segno di riconoscenza al re per il soggiorno che gli aveva offerto o l'abbia semplicemente venduto assieme ad altre opere, a Francesco I.
Si sa che un secolo dopo, nel 1625, un ritratto chiamato la Gioconda fu descritto da Cassiano dal Pozzo tra le opere delle collezioni reali francesi. Altri indizi fanno pensare che fin dal 1542 si trovasse tra le decorazioni della Salle du bain del castello di Fontainebleau.[24]
Più tardi, nel 1685, Luigi XIV fece trasferire il dipinto a Versailles, ma dopo la rivoluzione francese, nel 1797, venne spostato al Louvre. Nel 1800 Napoleone Bonaparte lo fece mettere nella sua camera da letto, ma nel 1804 tornò al Louvre. Durante la guerra Franco-Prussiana fu messo al riparo in un sito nascosto.
Spazio vuoto sulla parete del Louvre in seguito al furto del 1911Il furtoNella notte tra domenica 20 e lunedì 21 agosto 1911, prima di un giorno di chiusura del museo, la Gioconda venne rubata. Della sottrazione si accorse il martedì 22 agosto un copista, Louis Béroud, che aveva avuto il permesso per riprodurre l'opera a porte chiuse.[25] La notizia del furto fu ufficializzata solo il giorno dopo, anche perché all'epoca non era infrequente che le opere venissero temporaneamente rimosse per essere fotografate.[26]
La Gioconda in mostra nella Galleria degli Uffizi di Firenze, anno 1913. Il direttore del Museo Giovanni Poggi (a destra) controlla il dipinto. Monna Lisa in Italia a Firenze nel 1913 dopo essere stata recuperataEra la prima volta che un dipinto veniva rubato da un museo, per di più dell'importanza del Louvre, e a lungo la polizia brancolò nel buio.[27] Fu sospettato il poeta francese Guillaume Apollinaire che venne arrestato dopo aver dichiarato di voler distruggere i capolavori di tutti i musei per far posto all'arte nuova e condotto in prigione il 7 settembre 1911; il suo arresto si basava su una calunnia, causata da una ripicca, da parte dell'amante Honoré Géri Pieret, che era stato accusato di aver ricettato alcune statuette antiche rubate dal museo. Anche Pablo Picasso venne interrogato in merito, ma, come Apollinaire, fu in seguito rilasciato.[26] Sospetti caddero anche sull'Impero tedesco, nemico della Francia, ipotizzando un furto di Stato. Mentre crescevano sospetti e polemiche poiché si scoprì che le uniche misure di sicurezza adottate dal museo consistevano nell'aver addestrato al judo un gruppo di guardie,[26] si iniziò a ritenere il capolavoro perso per sempre. Franz Kafka vide una cornice vuota, e dopo un po' il posto lasciato dalla Gioconda sulla parete fu preso dal Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello.[26]
In realtà, un ex-impiegato del Louvre, Vincenzo Peruggia, originario di Dumenza, paesino nei pressi di Luino, convinto che il dipinto appartenesse all'Italia poiché sottratto da Napoleone, lo aveva rubato, rinchiudendosi nottetempo in uno sgabuzzino e, trascorsavi la notte, staccando il dipinto di prima mattina e uscendo dal museo con il ritratto sotto il cappotto; egli stesso ne aveva montato la teca in vetro, quindi sapeva come smontarla per sottrarlo.[25] Uscì in tutta calma; chiese anche a un idraulico un aiuto per uscire dal museo, essendo sparita la maniglia del portone d'ingresso, e all'uscita sbagliò tram, optando poi per un più comodo taxi.[26] Messa l'opera in una valigia, posta sotto il letto di una pensione di Parigi, la custodì per ventotto mesi e successivamente la portò nel suo paese d'origine, a Luino, con l'intenzione di "regalarla all'Italia", dopo aver ottenuto da qualcuno la garanzia che il dipinto sarebbe rimasto nel suo paese; come accennato, riteneva infatti erroneamente che l'opera fosse stata rubata durante le spoliazioni napoleoniche.
Ingenuamente, nel 1913 si recò a Firenze per rivendere l'opera. Si rivolse all'antiquario fiorentino Alfredo Geri, che ricevette una lettera firmata "Leonardo" in cui era scritto che «Il quadro è nelle mie mani, appartiene all'Italia perché Leonardo è italiano» con una proposta di restituzione a fronte di un riscatto di 500 000 lire «per le spese». Incuriosito, l'11 dicembre 1913, l'antiquario fissò un appuntamento nella stanza 20 al terzo piano dell'Hotel Tripoli, in via de' Cerretani (albergo che poi cambiò il nome proprio in Hotel Gioconda), accompagnato dall'allora direttore degli Uffizi Giovanni Poggi.[26] I due si accorsero che l'opera non era uno dei tanti falsi in circolazione, ma l'originale e se la fecero consegnare per "verificarne l'autenticità". Nell'attesa Peruggia se ne andò a spasso per la città, ma venne rintracciato e arrestato.[25] Il ladro, processato, venne definito "mentalmente minorato" e condannato a una pena di un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni. La sua difesa si basò tutta sul patriottismo e suscitò qualche simpatia (si parlò di "peruggismo"). Egli stesso dichiarò di aver passato due anni "romantici" con la Gioconda appesa sul suo tavolo di cucina.[26]
Approfittando del clima amichevole che allora regnava nei rapporti tra Italia e Francia, il dipinto recuperato venne esposto in tutta Italia; prima agli Uffizi a Firenze,[28] poi all'ambasciata di Francia di palazzo Farnese a Roma, alla Galleria Borghese (in occasione del Natale), e infine alla Pinacoteca di Brera a Milano, prima del suo definitivo rientro al Louvre. La Monna Lisa passò il confine a Modane, in Francia, su un vagone speciale delle ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità francesi, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carré, l'attendevano il presidente della Repubblica Raymond Poincaré e tutto il governo.[29]
Ritorno della Gioconda al museo del Louvre il 4 gennaio 1914Sicuramente il furto contribuì alla nascita e alimentazione del mito della Gioconda; dalla cultura più alta, per pochi eletti, la sua immagine entrò decisamente nell'immaginario collettivo.[26]
Vicende recentiDurante la prima e la seconda guerra mondiale, il dipinto venne di nuovo rimosso dal Louvre e conservato in luoghi sicuri. Durante il secondo conflitto in particolare fu depositata al castello di Chambord, poi ad Amboise, a cui seguirono l'abbazia di Loc-Dieu, il Museo Ingres di Montauban e di nuovo Chambord, prima di finire sotto il letto del conservatore del Louvre nel castello di Montal e tornare a Parigi nel 1945.[30]
Nel 1956, la parte inferiore del dipinto venne seriamente danneggiata a seguito di un attacco con dell'acido. Diversi mesi dopo qualcuno lanciò un sasso contro il dipinto; attualmente viene esposto dietro un vetro di sicurezza. Sull'episodio fornì una lettura psicoanalitica Salvador Dalí: «Molte persone se la sono presa con la Gioconda, anche lapidandola come qualche anno fa, caso tipico di flagrante aggressione contro la propria madre. [… Leonardo], inconsciamente, ha dipinto un essere che riveste tutti gli attributi materni. Ha due grandi seni e posa su chi la contempla uno sguardo totalmente materno. Però sorride in modo equivoco. […] Ora cosa succede al povero infelice che è posseduto dal complesso di Edipo […]? Egli entra in un museo. Un museo è una casa pubblica. Nel suo subcosciente, è un bordello. E in questo bordello vede il prototipo dell'immagine di tutte le madri. La presenza angosciante di sua madre che gli lancia uno sguardo dolce e gli rivolge un sorriso equivoco, lo spinge a un atto criminale. Commette un matricidio, prendendo la prima cosa che gli capita fra le mani, un ciottolo, e rovinando con esso il quadro. È una tipica aggressione da paranoico».[31]
La ressa dei visitatori del Louvre di fronte al dipinto di LeonardoNel 1962 il quadro fu prestato agli Stati Uniti dove, accolto dal presidente John Fitzgerald Kennedy, dalla first lady Jacqueline Kennedy e dal vicepresidente Lyndon Johnson, fu esposto alla National Gallery di Washington e al Metropolitan Museum di New York, dove attrasse un milione e settecentomila visitatori; nel 1974 fece la sua ultima tournée, con tappe a Tokyo e a Mosca.[30]
Studi del settembre 2006, effettuati dal Centro Nazionale di Ricerca e Restauro dei Musei di Francia, hanno rilevato come in un primo tempo tutto il volto della donna dovesse essere ricoperto da un sottile velo, che all'epoca era portato dalle donne in dolce attesa o che avevano appena dato alla luce un figlio; inoltre, dietro il dipinto si è potuto vedere uno schizzo inciso sul legno da Leonardo, il quale prima di dipingere il quadro ne avrebbe abbozzato la struttura. Nello schizzo la figura femminile indossa una cuffia, poi oggetto di un ripensamento.
Per evitare il deterioramento causato dai numerosi flash che colpiscono l'opera, è stata inserita una protezione in vetro di fabbricazione italiana resistente oltretutto a vari tipi di esplosivi e a qualsiasi agente corrosivo. Ciò l'ha protetta anche dal lancio di una tazza con cui una visitatrice russa cercò di colpirla nel 2009[30] e da un pezzo di torta nel 2022.[32]
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