Pula

( Pola )

Pola (AFI: /ˈpɔla/; in croato Pula; in istroveneto Poła; in istrioto Puola; in sloveno Pulj; in tedesco Pola) è una città della Croazia di 52.220 abitanti (stando al censimento del 2021), la maggiore dell'Istria nonché suo capoluogo storico.

Centro abitato fondato nell'età del bronzo da popolazioni appartenenti alla cultura dei castellieri con il nome di Pola, divenne poi capitale e centro più importante degli Istri insieme a Nesazio (Nesactium). Conquistata dagli antichi Romani nel 177 a.C., fu rinominata Pietas Iulia, fermo restando che restò in uso anche il nome Pola. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, la città entrò nell'orbita dell'Impero Romano d'Oriente per poi costituirsi in libero comune nel 1177. La città fu annessa alla Repubblica di Venezia nel 1148, rimanendo...Leggi tutto

Pola (AFI: /ˈpɔla/; in croato Pula; in istroveneto Poła; in istrioto Puola; in sloveno Pulj; in tedesco Pola) è una città della Croazia di 52.220 abitanti (stando al censimento del 2021), la maggiore dell'Istria nonché suo capoluogo storico.

Centro abitato fondato nell'età del bronzo da popolazioni appartenenti alla cultura dei castellieri con il nome di Pola, divenne poi capitale e centro più importante degli Istri insieme a Nesazio (Nesactium). Conquistata dagli antichi Romani nel 177 a.C., fu rinominata Pietas Iulia, fermo restando che restò in uso anche il nome Pola. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, la città entrò nell'orbita dell'Impero Romano d'Oriente per poi costituirsi in libero comune nel 1177. La città fu annessa alla Repubblica di Venezia nel 1148, rimanendo nei suoi domini marittimi per quasi cinque secoli, per poi essere annessa all'Impero austriaco. Rimase sotto il diretto controllo austriaco fino al 1918, quando fu annessa al Regno d'Italia, per poi passare nel 1947 alla Jugoslavia e infine, nel 1991, alla Croazia.

A causa di queste vicissitudini storiche la composizione etnica di Pola cambiò nei secoli, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, a cui seguì l'esodo della gran parte della popolazione italiana, che all'epoca costituiva la larga parte dei residenti a Pola. Oggi la maggioranza dei cittadini di Pola è croata (il 77,37% della popolazione totale, stando al censimento del 2011), seguita dai serbi (6,01%), dagli italiani (4,43%), dai bosniaci (3,5%) e dagli sloveni (0,9%).

Pola ha avuto un tessuto industriale molto forte formato principalmente da cantieristica navale, industrie manifatturiere, industrie alimentari, industrie edili e industrie metallurgiche che vede le sue origini nel periodo asburgico e il massimo sviluppo nel periodo dell'ex Jugoslavia, ma dall'indipendenza croata e dall'inizio della privatizzazione delle industrie statali vede un periodo di decadenza continua che ha portato ad avere quasi tutte le industrie del passato oggi fallite o attive ma molto meno redditizie. A Pola sono presenti numerose aree turistiche frequentate perlopiù nella stagione estiva, tra cui le isole Brioni. Pola è anche la destinazione finale dell'itinerario ciclistico EuroVelo 9, che inizia a Danzica, in Polonia. Il monumento più importante presente in città è l'Arena di Pola, che funge anche da simbolo per la città e che è tra gli anfiteatri di età romana meglio conservati al mondo. Pola è una delle sedi vescovili della Diocesi di Parenzo e Pola, suffraganea dell'Arcidiocesi di Fiume.

Epoca preistorica  Sito preistorico appartenente alla cultura dei castellieri situato a Moncodogno, non lontano da Pola

Le prime prove di presenza umana nei pressi di Pola hanno una datazione che si aggira a circa un milione di anni fa. Tali testimonianze si riferiscono a fossili di Homo erectus rinvenuti a San Daniele (cro. Šandalja), località poco distante da Pola[1]. Sempre nei dintorni della città istriana, sono state rinvenute delle ceramiche neolitiche databili tra il 6000 e il 2000 a.C., dimostrando la presenza di un insediamento abitato stanziale.

I reperti trovati a Pola ascrivibili a un periodo storico successivo a quelli precedentemente citati risalgono ell'età del bronzo medio, che sono databili tra il 1800 e il 1000 a.C. e che appartengono alla cultura dei castellieri, la quale si sviluppò in Istria per poi espandersi successivamente in Friuli (chiamati cjastelîr in friulano), Venezia Giulia, Dalmazia, Veneto e nelle loro zone limitrofe. Gli insediamenti dei castellieri trovati vicino a Pola, che sono chiamati "gradina" (cr. gradište), sono delle tombe a tumulo[2]. Di questa cultura preistorica sono stati trovati oggetti, nei dintorni di Pola, in osso lavorato, oggetti che servivano a lisciare o a perforare vari materiali, come ad esempio pelli, aghi per cucire e pendagli in bronzo a spirale.[3]

Il tipo di materiale archeologico trovato nei dintorni di Pola dimostra che i castellieri stanziati in questa zona avessero contatti commerciali con diversi insediamenti umani situati lungo le sponde del Danubio.[3] Gli abitanti dell'Istria che vissero nell'età del bronzo hanno poi dato origine agli Illiri, tant'è che sono conosciuti come "proto-illiri", ovvero una delle popolazioni che hanno poi dato origine agli Illiri propriamente detti.[3]

Epoca antica  L'Arco dei Sergi (Porta Aurea)
(GRC)

«Οἳ μὲν ἐπ' Ἰλλυριοῖο πόρου σχάσσαντες ἐρετμὰ
λᾶα πάρα ξανθῆς Ἁρμονίης ὅφιος
ἄστυρον ἐκτίσσαντο, τό κεν φυγάδων τις ἐνίσποι
Γραικός, ἀτὰρ κείνων γλῶσσ' ὀνόμηνε Πόλας.»

(IT)

«Essi i remi posando in un sassoso
Porto del mar Illirio, dal serpente
Della bionda Armonia non guari lunge,
Astiro[4] fabbricaronvi; cui diede
Alcun Greco fra gli esuli un tal nome,
E che in linguaggio lor Pola fu detta.»

Ceramiche risalenti all'epoca dell'antica Grecia che appartenevano a una statua di Apollo sono state trovate nei dintorni di Pola a testimonianza che i suoi antichi abitanti avessero contatti costanti con la cultura greca.[5] La mitologia greca vorrebbe, senza però che si siano state trovate prove storiche, che Pola fosse stata fondata da Giasone con il nome di Polai durante il suo tentativo di fuga, il cui percorso si sviluppò anche nel mare Adriatico settentrionale.[6]

In età preromana la zona di Pola era popolata dagli Istri, tribù "venetica", che aveva legami con gli Illiri e che è ricordata da Strabone nelle sue opere come una popolazione vissuta in Istria fino al I secolo a.C..[7][8] In particolare, su Pola, Strabone scrive:

 Scorcio dell'Arena di Pola

«Dopo il Timavo c'è il litorale degli Istrî fino a Pola, che appartiene all'Italia. […] Sono dunque i Veneti e gli Istrî che abitano la regione transpadana fino a Pola.»

Capitale e massimo centro degli Istri era Nesactium, che era situata a una decina di chilometri dal moderno abitato di Pola, e che a sua volta era sorta sull'antica capitale dei castellieri già nota come Pola. La penisola istriana venne conquistata dagli antichi Romani nel 177 a.C., dopo di cui iniziò il processo di romanizzazione della regione.[8] La capitale degli istri Nesactium fu in seguito ridenominata dai romani Alba Julia, fermo restando che restò in uso anche il nome Pola, antica denominazione usata ai tempi dei castellieri e poi giunta sino a noi. Il centro abitato di Alba Julia fu poi elevato al rango di colonia intorno al 46 a.C..[8]

 Tempio di Augusto e della dea Roma

Durante la guerra civile romana combattuta durante il triumvirato di Marco Antonio, Marco Emilio Lepido e Ottaviano contro gli assassini di Cesare, ovvero Bruto e Cassio, Alba Iulia prese le parti di quest'ultimo. Dopo la vittoria di Ottaviano, Alba Julia fu demolita e poi subito ricostruita con il nome di Colonia Pietas Iulia Pola Pollentia Herculanea, poi semplicemente conosciuta come Pietas Iulia, venendo inclusa nella regione augustea della Regio X Venetia et Histria, che nell'insieme formavano la cosiddetta "Italia romana".

A partire dall'elevamento al rango di colonia la città crebbe costantemente toccando l'apice con il raggiungimento dei 30 000 abitanti. Alba Julia diventò un importante porto con una vasta area sotto la sua amministrazione diretta. Pola fu città fiorente, dotata di prestigiose strutture urbane (fra cui un ampio foro, un arco trionfale, un anfiteatro e due teatri) e ornata di templi a cui si aggiunsero, nei primi secoli dell'era volgare, alcune basiliche paleocristiane. La presenza romana della zona di Pola è testimoniata da numerose epigrafi latine, che ci offrono un'idea della prosperità raggiunta da questo centro nell'antichità.

Degne di nota sono la costruzione dell'Arena di Pola, che avvenne tra il 27 a.C. e il 68 d.C., quando fu completata, nonché la realizzazione del Tempio di Augusto e della dea Roma, dell'acquedotto, della fognatura e di imponenti mura cittadine con dieci porte cittadine, di cui solo tre sono giunte sino a noi: l'Arco dei Sergi (originariamente chiamato Porta Aurea), la Porta Erculea e la Porta Gemina[9]. Durante il principato dell'imperatore Settimio Severo il nome della città fu cambiato in Res Publica Polensis, quindi con un richiamo a Pola, antico nome all'epoca dei castellieri. Nel 326 d.C. a Pola fu giustiziato Crispo, mentre nel 354 d.C. venne ucciso Costanzo Gallo[8].

Epoca medievale  Reliquiario d'avorio risalente all'XI secolo conservato al museo archeologico di Pola La Concattedrale dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, che fu realizzata nel V secolo

Dopo le invasioni barbariche del V secolo e la caduta dell'Impero romano d'Occidente, di cui Pola faceva parte, la città entrò, durante il secolo successivo, nell'orbita dell'Impero romano d'Oriente[10]. Pola si costituì in libero comune nel 1177, anche se la città era già nell'ambito della sfera di influenza della Repubblica di Venezia, cui doveva pagare un tributo annuale.

Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente Pola fu prima conquistata dagli Ostrogoti, divenendo foederate civitatem nel 493 d.C. e restandoci nel 538 d.C., quando entrò a far parte della Venetikà, distretto dell'Esarcato d'Italia costituito nel 584 dall'imperatore Maurizio, scorporandolo dalla precedente eparchia Annonaria. Così, Pola accrebbe gradualmente la sua importanza, fino a diventare il maggior porto militare dell'Impero bizantino[11].

In tale periodo fu realizzata la Concattedrale dell'Assunzione della Beata Vergine Maria nello stesso punto in cui in epoca romana sorgeva un tempio dedicato a Giove Conservatore, poi trasformato in una piccola chiesa e infine, nel V secolo, nella moderna basilica, che fu dotata di tre navate, grande il doppio rispetto alla chiesetta precedente.

Nel 751 Pola, insieme al resto dell'Istria, venne conquistata dal re dei Longobardi Astolfo. Con la conquista del Regno longobardo da parte di Carlo Magno nel 774, l'Istria, in virtù della sua posizione periferica, rimase un territorio autonomo fino a che non venne riannessa da Pipino, figlio di Carlo, nel 788. In età carolingia, Pola entrò a far parte del Regnum Italiae, che era parte dell'Impero carolingio[12]. Con il regno di Berengario I, la marca d'Istria entrò nell'orbita della più potente marca di Verona.

Sceso in Italia a seguito della chiamata della regina Adelaide, il 10 ottobre 951 Ottone I di Sassonia assunse a Pavia il titolo di rex Francorum et Italicorum e l'anno successivo assegnò la marca di Verona al fratello, il duca di Baviera Enrico. A causa delle ripetute ribellioni di Enrico, l'imperatore Ottone II assegnò la marca di Verona al duca di Carinzia Ottone di Worms. Nel 1040 l'imperatore Enrico III assegnò la marca d'Istria al margravio di Carniola Poppo I.

Il periodo veneziano (1331-1797)  La fortezza veneziana di Pola

Pola fu conquistata nel 1148 dalla Repubblica di Venezia, assoggettamento che fu preannunciato nel 1150 da un'alleanza anche militare. Pola entrò ufficialmente a fare parte dei dominii veneziani nel 1331, in particolare di quelli marittimi, che erano chiamati Stato da Mar, restandoci per quasi cinque secoli (tranne una breve parentesi avvenuta nel corso del'anno 1192 quando fu parte della Repubblica di Pisa) fino alla caduta della Repubblica di Venezia, che avvenne nel 1797.[13]

 Mappa delle zone di influenza della Repubblica di Venezia intorno all'anno 1000

Pola subì anche una serie di assedi da parte della Repubblica di Genova, storica nemica di quella veneziana, nel 1267, nel 1379 e nel 1397, che però non portarono ad annessioni nei domini marittimi genovesi, che erano chiamati Paesi d'oltremare[14]. Analoghe azioni, oltre che dai genovesi, furono compiute dal Regno d'Ungheria e dall'Arciducato d'Austria, attacchi che portarono spesso a distruzioni di parte del centro abitato.

Per la sua posizione strategica Pola era utilizzata come scalo intermedio tra Venezia e l'Oriente. La galee veneziane provenienti dall'Oriente scaricavano a Pola i loro cannoni per ridurre il proprio pescaggio, in considerazione dei bassi fondali del Canal Grande di Venezia; le galee veneziane, nel tragitto inverso dirette quindi in Oriente, sostavano a Pola a caricare i cannoni.

Pola seguì la Repubblica di Venezia nel suo lungo e costante declino che ebbe inizio nel XVI secolo dopo la colonizzazione europea delle Americhe e la scoperta di nuove rotte commerciali esterne al Mar Mediterraneo.

La crisi economica di Pola fu accelerata a causa della guerra civile tra le varie famiglie dominanti polesi, tra cui i Sergii.

 Mappa della rete commerciale, di cui Pola risultava uno snodo importante, e dei possedimenti della Repubblica di Venezia tra il XV e il XVI secolo, nel periodo di massima espansione

Questi ultimi, durante il loro periodo di splendore, ridiedero il nome a Porta Aurea, che divenne Arco dei Sergi.

Pola subì in questi secoli anche diverse epidemie, soprattutto di malaria e di tifo, che falcidiarono gran parte della popolazione. Tutti questi eventi portarono la popolazione di Pola a scendere a 3 000 abitanti verso la metà del XVIII secolo, perlopiù concentrati a est del centro storico, area ora coperta dal Bosco Siana.

Nel 1291 Pola fu compresa nel patriarcato di Aquileia, in seguito soppresso venendo sostituito dal patriarcato di Venezia. Dante Alighieri, durante i suoi viaggi, visitò Pola, soggiornando presso l'antica abbazia di San Michele in Monte (oggi forte San Michele)[15][16][17], dedicandole i celebri versi del canto IX dell'Inferno (vv. 112-114), prima delle tre cantiche della Divina Commedia[18]:

«[…] Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
sì com' a Pola, presso del Carnaro,
ch'Italia chiude e suoi termini bagna […]»

Il periodo napoleonico (1797-1814)

Con la caduta della Repubblica di Venezia (1797), in seguito al trattato di Campoformio, che avvenne nello stesso anno, gli ex territori della repubblica veneziana, un tempo costituiti dal Dogado, dallo Stato da Tera e dallo Stato da Mar (con quest'ultimo che comprendeva anche l'Istria, e con essa Pola) vennero ceduti all'Arciducato d'Austria, che in cambio riconobbe la Repubblica cisalpina, Stato satellite della Prima Repubblica francese[19].

L'Istria rimase dominio austriaco fino al 1803, quando fu occupata dall'Armée de terre francese e riunita al Regno d'Italia napoleonico. Nel 1809 Pola passò, assieme all'intera Istria, alle Province Illiriche, governatorato dipendente dal Primo Impero francese.

Dopo la sconfitta di Napoleone nella battaglia di Lipsia, e il crollo definitivo dell'Primo Impero francese, Pola ritornò sotto il dominio dell'Impero austriaco, Stato successore dell'Arciducato d'Austria[20].

 Mappa dell'Italia nel 1810, in piena epoca napoleonica. In blu è segnato il Primo Impero francese, mentre in verde il Regno d'Italia napoleonicoIl periodo austriaco (1814-1918)
  Lo stesso argomento in dettaglio: Irredentismo italiano in Istria.
 Porto militare tra il 1890 e il 1900 Pola nel 1904

Dopo il Congresso di Vienna la città di Pola, insieme all'intera Istria, fu assegnata all'Impero austriaco venendo poi inquadrata nella regione amministrativa del Litorale austriaco.

In seguito all'Ausgleich (ovvero alla riforma costituzionale promulgata il 12 giugno 1867 dall'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe con la quale l'Ungheria otteneva una condizione di parità con l'Austria all'interno della monarchia asburgica, segnando il passaggio dall'Impero austriaco all'Impero austro-ungarico) Pola, da quel momento segnata sulle cartine austriache con il nome italiano di Pola, rimase sotto il diretto dominio austriaco fino al 1918, quando fu riunita al Regno d'Italia[21].

Sotto la corona austriaca Pola tornò a prosperare economicamente, poiché il suo porto divenne il più importante dell'Impero austriaco e fu utilizzato anche come cantiere navale e come base navale quando, nel 1859, fu scelto come base da Hans Dahlerup, ammiraglio danese al servizio dell'Impero austriaco.

Successivamente Pola crebbe come importanza, soprattutto economica, divenendo un importante centro industriale, di riferimento per l'intera zona. Le isole Brioni, situate a nord ovest di Pola, diventarono una rilevante meta turistica tanto da diventare il luogo di villeggiatura della Casa d'Asburgo.

Vero punto di svolta per la città furono i moti del 1848, che portarono anche a Pola importanti venti rivoluzionari. L'evento più importante per la città fu la cessione del Venezia Euganea all'Italia nel 1866, che avvenne dopo la terza guerra d'indipendenza italiana. L'Impero austro-ungarico, infatti, fece di Pola la propria base navale militare principale avendo perso Venezia.

 Aree di diffusione della lingua istriota. Segnata in verde la sua diffusione nel 1850, segnata in grigio nel 1900 e segnata in rosso nel 1950. Nell'anno 2000 la sua diffusione era concentrata solo sei comuni istriani (Rovigno, Dignano, Valle, Fasana, Gallesano e Sissano) Lingue madri maggioritarie della popolazione in Istria, Quarnaro e Dalmazia nel 1910 Il Grand Hotel Riviera, 1910 Le corazzate monocalibro austroungariche ancorate al porto di Pola nel 1915

La costruzione dell'Arsenale di Pola fu iniziata nel 1853 insieme a vari potenziamenti del porto, che proseguirono nei decenni successivi. La città divenne ufficialmente sede dell'arsenale del'Impero austriaco, e quindi iniziò la costruzione delle navi della Regia-Imperiale Marina Austro-Ungarica, che prima erano assemblate all'interno dell'Arsenale di Venezia. Nell'arco di meno di mezzo secolo Pola, che nella prima metà dell'Ottocento non arrivava a contare 18 000 abitanti, si trasformò in una città moderna giungendo a più di 41 000 residenti verso la fine del secolo.

Come conseguenza della terza guerra d'indipendenza italiana, che portò all'annessione del Veneto al Regno d'Italia, l'amministrazione imperiale austriaca, per tutta la seconda metà del XIX secolo, aumentò le ingerenze sulla gestione politica del territorio per attenuare l'influenza del gruppo etnico italiano temendone le correnti irredentiste. Durante la riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria tracciò un progetto di ampio respiro mirante alla germanizzazione o slavizzazione dell'aree dell'impero con presenza italiana:

«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito.»

La politica di collaborazione con i serbi locali, inaugurata dallo zaratino Ghiglianovich e dal raguseo Giovanni Avoscani, permise poi agli italiani la conquista dell'amministrazione comunale di Ragusa nel 1899.

Nel 1909 la lingua italiana venne vietata in tutti gli uffici pubblici e gli italiani furono estromessi dalle amministrazioni comunali[24]. Queste ingerenze, insieme ad altre azioni di favoreggiamento al gruppo etnico slavo ritenuto dall'impero più fedele alla corona, esasperarono la situazione andando ad alimentare le correnti più estremiste e rivoluzionarie. Tale decisione politica provocò anche la scomparsa della tipica parlata di questo territorio, la lingua istriota, sostituita dal dialetto istroveneto, piuttosto simile al triestino.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale Pola fu dichiarata "Zona di guerra"[25] e una parte dei suoi abitanti di etnia italiana venne internata nei Barackenlager della Stiria.

Vi furono molte incursioni italiane, sia aeree, sia di mezzi d'assalto della Regia Marina italiana, in una delle quali venne fatto prigioniero e poi giustiziato sul patibolo cittadino il 10 agosto 1916 il patriota capodistriano Nazario Sauro. Durante la prima guerra mondiale il porto fu la base principale per le corazzate monocalibro e le altre forze navali dell'Impero austroungarico[26].

L'ultima incursione italiana nella città istriana, avvenuta il 1º novembre del 1918 e ribattezzata Impresa di Pola, portò all'affondamento della corazzata Viribus Unitis pochi giorni prima della firma dell'armistizio che pose fine alla guerra (armistizio di Villa Giusti), con gli incursori ignari che poche ore prima l'Impero austro-ungarico aveva ceduto la propria flotta agli slavi i quali, una volta costituito un proprio Comitato dipendente da Zagabria, denominato Stato degli Sloveni, Croati e Serbi, tentarono in tutti i modi di opporsi alla volontà della maggioranza della popolazione che voleva l'annessione all'Italia.[senza fonte]
L'armistizio di Villa Giusti fu reso pubblico il 4 novembre 1918 e il giorno successivo le truppe italiane sbarcarono nella vicina Fasana.

L'appartenenza all'Italia (1918-1943)
  Lo stesso argomento in dettaglio: Provincia di Pola.
 Cartina della Dalmazia e della Venezia Giulia che mostra i confini previsti dal Patto di Londra (linea rossa) e quelli invece effettivamente ottenuti dall'Italia (linea verde). In fucsia sono invece indicati gli antichi domini della Repubblica di Venezia Segnata in rosso, la provincia italiana di Pola (1923-1947) nell'ambito del Regno d'Italia

Alla fine della prima guerra mondiale, l'Italia ottenne la sovranità sulla Venezia Giulia e sull'Istria. La città divenne capoluogo della provincia di Pola, avente sigla automobilistica "PL", diventata poi nel 1930 "PO"[27] e poi di nuovo PL dal 1930 al 1945[28].

Il passaggio di sovranità territoriale causò un'iniziale flessione dell'economia, che fu dovuta anche al ritiro della burocrazia e alla presenza militare austro ungarica, la quale forniva lavoro al cantiere navale e alle industrie del suo indotto. Ciò causò a sua volta un calo del numero di abitanti, dopo di cui seguì una fase di ripresa economica e sociale grazie all'insediamento della burocrazia statale italiana[29].

A Pola furono attivate, tra le altre, la scuola elementare Dante, le scuole tecniche, le scuole magistrali, il ginnasio-liceo Carducci, lo stadio Littorio con la squadra del Grion Pola, fondata nel 1918 quando il fascio era ancora un simbolo mazziniano, compagine sportiva che si alternò tra la Prima Divisione, la Serie B e la Serie C. Per quanto riguarda l'editoria, in città si pubblicava Il Corriere Istriano, che contribuì a diffondere la cultura italiana.

Durante i primi anni dell'appartenenza di Pola all'Italia, soprattutto all'inizio dell'epoca fascista, molti croati decisero di emigrare nel Regno di Jugoslavia a causa della politica di italianizzazione perpetrata dal regime.

 Vista aerea di Pola durante l'epoca fascista

Nell'agosto 1933 fu inaugurata la stagione lirica estiva dell'Arena di Pola. La prima opera rappresentata fu Nozze istriane di Antonio Smareglia, compositore polese. Le rappresentazioni attirarono spettatori da tutta l'Istria e anche da Trieste via piroscafo. Il 1º giugno del 1939 la Scuola di pilotaggio di 2° periodo venne portata a Puntisella, promontorio della vicina isola di Cosada, dove il 1º giugno del 1940 la Scuola di 1° periodo diventò Scuola di 2° periodo e di addestramento idrovolanti.

L'arsenale di Pola venne dato in concessione all'industria privata "Cantiere Scoglio Olivi", che nel corso degli anni trenta entrò nell'orbita dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico. La funzione militare della città venne quindi rivolta prevalentemente alle scuole e ai centri di addestramento più che alla realizzazione di navi, la cui costruzione era passata ad altri arsenali, tra cui al cantiere navale di Fiume.

A Pola avevano la loro sede le scuole CREM (Corpo Reali Equipaggi di Marina), il Reggimento San Marco, la scuola sommergibilisti, la scuola nautica della Guardia di Finanza, un gruppo di idrovolanti e anche un reparto provvisto di nave avente funzione di bersaglio semovente per le esercitazioni degli aerosiluranti di Gorizia. Il 29 aprile del 1942 nacque la «Sezione Collegamenti II Armata», avente sede all'idroscalo di Puntisella, che era dotata di due CANT Z.501 e di un CANT Z.506. A metà aprile 1943 la 149ª Squadriglia venne trasferita a Puntisella di Pola insieme a CZ 506. Sempre a Pola aveva sede, inoltre, la Scuola Allievi Ufficiali e Sottufficiali di complemento dei Bersaglieri.

Bandiera in uso durante l'appartenenza italiana della città (1923-1947)[30] 

Bandiera in uso durante l'appartenenza italiana della città (1923-1947)[30]

Stemma in uso durante l'appartenenza italiana della città 

Stemma in uso durante l'appartenenza italiana della città

L'occupazione tedesca (1943-1945)  Bombardamenti su Pola, 1945 Mappa della Repubblica Sociale Italiana, con segnati in giallo e in verde i suoi territori. Le aree segnate in verde corrispondono alla Zona d'operazioni del Litorale adriatico Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, che si trova nell'ex provincia italiana di Pola. I massacri delle foibe furono compiuti nell'intera Venezia Giulia e in Dalmazia dai partigiani jugoslavi e dell'OZNA

In occasione del proclama Badoglio dell'8 settembre 1943 il IX Corpus sloveno, inquadrato nella IV Armata jugoslava e forte di 50 000 uomini, informato per tempo dell'imminente proclamazione dell'armistizio di Cassibile (con il quale il Regno d'Italia cessò le ostilità verso gli Alleati durante la seconda guerra mondiale e l'inizio di fatto della resistenza italiana contro il nazifascismo) attraversò le Alpi Giulie per invadere il Carso e l'Istria, puntando su Gorizia, Trieste, Pola e Fiume, approfittando del temporaneo sbandamento delle truppe italiane.

La provincia di Pola, così come quelle di Trieste, Gorizia e di Fiume, nonché quella di Udine e quella autonoma, costituita su terra slovena, di Lubiana, furono incluse nella Zona d'operazioni del Litorale adriatico, costituito il 10 settembre 1943 e comprendente un territorio nominalmente ancora soggetto alla sovranità della Repubblica Sociale Italiana, regime voluto dalla Germania nazista e guidato da Benito Mussolini al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai tedeschi dopo l'armistizio di Cassibile, ma posto sotto amministrazione militare tedesca.

La Zona d'operazioni del Litorale adriatico fu affidata al Gauleiter Friedrich Rainer e al suo Gruppenfuhrer SS Odilo Lothar Globočnik (nato a Trieste nel 1904 da famiglia slovena originaria di Tržič – all'epoca chiamata Neumarkt –, nell'Alta Carniola) già Comandante delle SS e della Polizia del distretto di Lublino, ed edificatore del campo di sterminio di Sobibór e del campo di sterminio di Treblinka nonché responsabile, tra l'altro, anche della Risiera di San Sabba. Pola divenne poi una delle basi della Wehrmacht e degli U-Boot, vista la presenza del porto e dell'arsenale. Anche a Pola nacquero le prime formazioni partigiane italiane, che combatterono contro l'occupazione nazista dovendosi però guardare anche dai partigiani slavi, ostili agli italiani da un punto di vista etnico e sostenitori dell'annessione di Pola alla Jugoslavia.

In questo periodo iniziarono i massacri delle foibe, ovvero gli eccidi ai danni di militari e civili, in larga prevalenza italiani, della Venezia Giulia e della Dalmazia[31][32], avvenuti da questo momento in poi fino alla fine della seconda guerra mondiale e poi anche nell'immediato secondo dopoguerra (1943-1945), da parte dei partigiani jugoslavi e dell'OZNA. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molti dei corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati "foibe".

Pola subì il primo bombardamento aereo nel 1942. Il 9 febbraio 1944, verso le ore 11:30, Pola subì invece la prima incursione aerea con bombardamento a tappeto. Nonostante la massima parte della popolazione fosse riuscita a salvarsi nei rifugi antiaerei, i morti furono più di settanta, tra cui Aldo Fabbro, venticinquenne polese calciatore del Napoli.

I 45 giorni dei partigiani titini (1945)  Partigiani jugoslavi sfilano davanti all'Arena di Pola il 3 maggio 1945.

Nella primavera 1945, dopo la ritirata dei tedeschi, Pola fu occupata militarmente dai partigiani jugoslavi tra il 5 maggio e il 20 giugno. Il Comitato Popolare di Liberazione (CPL) annunciò l'annessione de facto di Pola alla Jugoslavia. La redazione e la tipografia de Il Corriere Istriano furono utilizzati per stampare Il Nostro Giornale, quotidiano filo-jugoslavo in lingua italiana. Dopo questi eventi, iniziò l'esodo, diventato di massa dopo la sua annessione alla Jugoslavia, dell'etnia autoctona italiana di Pola.

L'occupazione alleata (1945-1947)  I confini orientali italiani dal 1945 a oggi. Si noti in rosso la Linea Morgan, che divise la regione nel maggio 1945 in Zona A e Zona B in attesa delle decisioni del Trattato di Parigi fra l'Italia e le potenze alleate. Pola era un'exclave nell'Istria meridionale, e faceva parte della "Zona A". Memoriale che ricorda la strage di Vergarolla. È situato nei pressi della cattedrale di Pola

Il 6 giugno 1945, l'accordo tra il generale britannico Harold Alexander e il maresciallo jugoslavo Tito fece assegnare Pola alla Zona A della Venezia Giulia che era sotto occupazione Alleata, le cui città principali erano Gorizia, Trieste e Monfalcone.

Pola, essendo un'exclave della Zona A della Venezia Giulia, quindi interamente confinante con la Jugoslavia, diventò raggiungibile solo via mare. La Zona B della Venezia Giulia, comprendente il resto dell'Istria e Fiume, furono invece assegnati all'occupazione militare diretta jugoslava. Il 12 giugno, anziché il 10 come previsto, gli Alleati entrarono a Pola. La città iniziò ad attirare rifugiati italiani dal resto dell'Istria, rimasta sotto occupazione jugoslava.

Rinacquero in città tutti i partiti, associazioni, sindacati italiani, già soffocati dal fascismo, e poi repressi dai nazisti e dai titini. In agosto nacque la sezione della Democrazia Cristiana di Pola, con Attilio Craglietto, già preside del liceo Carducci e fondatore, in maggio, del Comitato Cittadino Polese per difendere l'italianità della città, e con don Edoardo Marzari, già presidente del CLN di Trieste. Vennero fondate anche sezioni del Partito Socialista, del Partito d'Azione, del Partito Liberale.

Il Comitato Cittadino Polese si trasformò in Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e prese contatti con il CLN di Trieste e i giuliani residenti a Roma. Guido Miglia diresse il nuovo quotidiano L'Arena di Pola, contraltare a Il Nostro Giornale, filojugoslavo, diretto da Domenico Cernecca.[33] Nacque anche il settimanale Democrazia. Nei due brevi anni di occupazione alleata Mario Mirabella Roberti, direttore del Museo dell'Istria, riuscì a far ricostruire il Tempio di Augusto e il Duomo, appena prima che la città passasse nuovamente agli jugoslavi.

Il 22 marzo 1946, giunsero in città i commissari (un russo, un francese, un inglese e uno statunitense) della Commissione per lo studio dei confini della Venezia Giulia, emanazione della Conferenza Alleata dei Ministri degli Esteri per la definizione dei confini. Per l'occasione in piazza Foro si confrontarono una manifestazione spontanea della popolazione polese per l'Italia e una manifestazione filojugoslava, composta in realtà principalmente di persone venute dai paesi dell'interno della Jugoslavia con pullman organizzati dai comunisti stessi. La polizia del Governo Militare Alleato separò le due fazioni evitando in tal modo lo scontro.

 Celebrazione del Giorno della Vittoria da parte delle truppe jugoslave all'interno dell'Arena di Pola il 13 maggio 1945

Nel 1946, Carlo Schiffrer pubblicò una Carta dei limiti nazionali italo-jugoslavi, in cui riporta, per la popolazione del vasto distretto di Pola, un totale di 87 787 abitanti, di cui 54 074 (64%) italiani, 27 102 (32%) serbo-croati, 771 sloveni, 1 110 altri stranieri. Nell'area urbana di Pola, quella occupata dagli angloamericani, la popolazione era italiana per quasi il 90%.

L'esodo della maggioranza italiana (1946-1947)
  Lo stesso argomento in dettaglio: Esodo giuliano dalmata.
 Modifiche al confine orientale italiano dal 1920 al 1975.

     Il Litorale austriaco, poi ribattezzato Venezia Giulia, che fu assegnato all'Italia nel 1920 con il trattato di Rapallo (con ritocchi del suo confine nel 1924 dopo il trattato di Roma) e che fu poi ceduto alla Jugoslavia nel 1947 con i trattati di Parigi

     Aree annesse all'Italia nel 1920 e rimaste italiane anche dopo il 1947

     Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente all'Italia nel 1975 con il trattato di Osimo

     Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente alla Jugoslavia nel 1975 con il trattato di Osimo

Alla conferenza di Parigi, già nell'estate 1946 apparve chiaro che il compromesso avrebbe annesso la maggior parte della Venezia Giulia e l'Istria, e con essa Pola, alla Jugoslavia, mentre Gorizia e Monfalcone sarebbero rimaste all'Italia. Trieste, con il territorio circostante, sarebbe divenuta invece uno Stato indipendente.

Il 26 luglio 1946 il CLN di Pola raccolse 9 496 dichiarazioni familiari scritte, poi diventati complessivamente 28 058 abitanti su un totale di circa 31 000, di voler abbandonare Pola qualora fosse stata annessa alla Jugoslavia. Le firme del CLN di Pola furono citate da De Gasperi nel suo discorso al Palazzo del Lussemburgo a Parigi per tentare di evitare la cessione di questi territori.

Domenica 18 agosto 1946, alle ore quattordici e quindici minuti, sulla spiaggia di Vergarolla dentro il porto di Pola, dove almeno 2 000 italiani erano confluiti per assistere alle gare della "Coppa Scarioni", organizzata dalla società sportiva e patriottica Pietas Julia (avente un richiamo all'antico nome romano di Pola), diverse mine e altri ordigni, forse ventotto, per un totale pari a 9 tonnellate di tritolo, già disattivate e disinnescate da tre squadre di artificieri inglesi e italiani, scoppiarono improvvisamente.

I morti accertati furono almeno 65, oltre 5 persone identificate come disperse; imprecisato il numero dei feriti; fra le vittime molte donne e bambini, essendo presenti centinaia di famiglie. Tale atto è conosciuto come "strage di Vergarolla".

L'indagine alleata stabilì che la strage di Vergarolla non poteva essersi trattato di un incidente e che gli ordigni erano stati reinnescati, e indizi "gravi e concordanti" additavano l'OZNA come responsabile dell'attentato, ma in seguito nessun tribunale ha mai stabilito ufficialmente che cosa fosse successo. La decisione collettiva dell'esodo qualora la città fosse stata abbandonata agli jugoslavi era già stata manifestata prima dello scoppio (28 058 firme di polesani su circa 31 000 abitanti attestavano la volontà di restare italiani, e quindi di emigrare da Pola), ma la decisione finale a Parigi non era ancora definita e i polesani non avevano abbandonato la speranza di evitare un'occupazione straniera.

Tuttavia la strage convinse i polesani che, qualora fossero restati in città, in caso di passaggio alla Jugoslavia, avrebbero corso un serio pericolo. Solo nel 1997, grazie all'interessamento della piccola comunità italiana rimasta a Pola, venne collocato un cippo nel parco del Duomo, con la laconica iscrizione Vergarola - 18.08.1946 - 13 h. - Grad Pula - 1997 - Città di Pola (recando l'orario sbagliato).

 La prima pagina de L'Arena di Pola del 4 luglio 1946, con il titolo "O l'Italia o l'esilio".Prima pagina del 24 agosto.

Nell'inverno tra il 1946 e il 1947, il CLN di Pola convinse il governo italiano a inviare la motonave Toscana e altri sei motovelieri al giorno, per il trasporto delle masserizie della moltitudine in procinto di abbandonare la città. Altri venti vagoni ferroviari al giorno sarebbero partiti da Pola per l'Italia, attraversando tutto il territorio istriano già sotto occupazione jugoslava. Nacque l'ipotesi di far esodare una comunità di coltivatori a Fertilia, in Sardegna, e di ospitare i lavoratori dell'arsenale al porto di Taranto.

Un'ultima carta, per gli italiani dell'Istria, fu quella proposta dall'avvocato Franco Amoroso, di Parenzo, molto vicino al CLN di Pola, già promotore del plebiscito e spesso non in sintonia con De Berti. Amoroso propose che l'Italia rinunciasse a Gorizia e Monfalcone, e che le offrisse al nascente Territorio Libero di Trieste, a condizione che la Jugoslavia avesse fatto lo stesso con la costa occidentale dell'Istria. Lo Stato libero sarebbe nato in tal modo molto più forte e gli italiani dell'Istria occidentale, costituendo la maggioranza assoluta della popolazione, sicuramente sarebbero rimasti nelle proprie terre. Anche gli italiani già fuggiti sarebbero potuti tornare nei paesi di origine. La proposta non ebbe però seguito.

 La nave Toscana durante l'abbandono della maggioranza degli italiani di Pola (1947)

Il 10 febbraio 1947, giorno della firma del trattato di pace, Maria Pasquinelli, un'insegnante di origine toscana, uccise il generale inglese Robert William Michael De Winton, comandante della guarnigione britannica di Pola. Lo freddò a colpi di pistola fuori dal portone del Governo Militare Alleato, in viale Carrara. In un suo documento, la Pasquinelli si riferì agli irredentisti Nazario Sauro e a Guglielmo Oberdan per giustificare il proprio gesto.

Il 20 marzo 1947 il piroscafo Toscana compì il suo ultimo viaggio, accompagnando le ultime partenze. Come previsto, 28 000 dei 31 000 abitanti di Pola abbandonarono beni e proprietà piuttosto che divenire jugoslavi.

Intanto nelle case rimaste vuote si installarono rapidamente nuovi abitanti sfollati da altre parti della Jugoslavia. Per altri sei mesi, 1 000 "operatori indispensabili" restarono ancora nella città deserta, in attesa del 15 settembre 1947, entrata in vigore del trattato di pace, quando l'abitato avrebbe dovuto essere ceduto definitivamente alla Jugoslavia. L'Arena di Pola terminò le pubblicazioni il 14 maggio, una settimana dopo che una manifestazione di parecchie centinaia di filo-jugoslavi, divenuti ormai la maggioranza nella città, aveva minacciato la redazione. Il giornale si trasferì prima a Trieste e poi a Gorizia, venne spedito per posta ai pochi ultimi italiani rimasti e, successivamente, diventò settimanale. L'ultima autovettura con targa automobilistica italiana fu immatricolata il 28 agosto 1947, con codice PL 3271[34].

La prima conseguenza di questo esodo per la città fu il cambio di nome: dall'italiano Pola si passò al croato Pula. Il comune di Vieste, comune italiano in provincia di Foggia, offrì formalmente parte del proprio territorio per consentire agli esuli di Pola di fondare la Nuova Città di Pola, ma il progetto non ebbe seguito[35]. Il nome italiano della città fu ripristinato dopo la dissoluzione della Jugoslavia, che permise l'introduzione ufficiale del bilinguismo.

L'appartenenza alla Jugoslavia (1947-1991)

Alla data di entrata in vigore del trattato di pace, il 15 settembre 1947, il Governo Militare Alleato si trasferì con il piroscafo Pola a Trieste, e la città di Pola passò direttamente all'amministrazione jugoslava.

A Pola, ormai deserta, rimasero qualche centinaio di italiani. Per il resto, la città venne ripopolata da slavi provenienti da altre parti della Jugoslavia, cambiando il nome ufficialmente in Pula. Molti slavi, con carri e povere masserizie, percorsero l'intera Jugoslavia per raggiungere la città. Le famiglie degli italiani "rimasti" hanno dato vita al "Circolo Italiano" (culturale, sociale, ricreativo, sportivo) situato in un edificio di via Carrara, nel centro storico della città, tuttora molto attivo e da decenni gemellato con il comune di Imola, che si trova in provincia di Bologna. Pola fu quindi oggetto di un processo di croatizzazione.

L'appartenenza alla Croazia (dal 1991)  Scorcio del centro storico di Pola

Dal 1991, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, Pola entrò a far parte della Repubblica croata. La situazione sociale, dalle guerre jugoslave, è gradualmente migliorata.

L'ultimo censimento del 2001, basato sull'uso della lingua, segnala una popolazione totale di 58 594 abitanti indicando che la maggioranza è di lingua croata corrispondente all'88,38% della popolazione (51 785 abitanti), mentre le minoranze etniche che seguono sono: 2 856 di lingua italiana (4,87%), 983 di lingua serba (1,68%), 593 di lingua slovena (1,1%), 475 di lingua bosniaca (0,81%), oltre a minoranze meno rilevanti numericamente. La città di Pola è oggi ufficialmente bilingue, e sia Pola che Pula sono nomi ufficiali.

Durante le trattative per l'adesione della Croazia all'Unione Europea molti esuli hanno chiesto al Governo italiano di riaprire la questione degli immobili abbandonati in seguito all'esodo, ma il governo ha ritenuto che la situazione non potesse più essere oggetto di trattative.

La Comunità degli Italiani di Pola ha sede in via Carrara, nel centro storico, da sempre il punto di ritrovo per tutti gli italiani del comune. Tale circolo è stato frequentemente e ripetutamente oggetto di vandalismi e tentativi di incendio[36].

Un gruppo di esuli provenienti da Pola hanno continuato a ritrovarsi, in Italia, costituendo un'associazione denominata Libero Comune di Pola in Esilio, con un proprio sindaco e un proprio Consiglio comunale eletto con voto assembleare.

Simboli

Il simbolo di Pola è una croce latina di colore oro i cui bracci terminano sui bordi dello stemma. La croce è collocata su uno scudo di colore verde. Di questa composizione è fatta sia la bandiera della città sia lo stemma, con quest'ultimo che è anche arricchito da fregi in stile rinascimentale. Lo stemma è completato da un giglio ed è adornato da un nastro di colore bianco.

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La flotta veneziana, oggetto di cessione insieme alla città, costituì il nucleo originario di quella che, nel secolo successivo, fu la flotta dell'impero austriaco.
^ Coordinamento Adriatico - L'istria nel periodo napoleonico 1797-1813, su coordinamentoadriatico.it. URL consultato il 7 marzo 2019 (archiviato l'8 maggio 2016). ^ Die postalischen Abstempelungen auf den österreichischen Postwertzeichen-Ausgaben 1867, 1883 und 1890, Wilhelm Klein, 1967. ^ Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971. ^ (DE) Jürgen Baurmann, Hartmut Gunther e Ulrich Knoop, Homo scribens : Perspektiven der Schriftlichkeitsforschung, Tübingen, 1993, p. 279, ISBN 3484311347. URL consultato il 13 marzo 2019 (archiviato il 31 marzo 2019). ^ Dizionario Enciclopedico Italiano (Vol. III, pag. 730), Roma, Ed. Istituto dell'Enciclopedia Italiana, fondata da Giovanni Treccani, 1970. ^ Pola, su www2.units.it. URL consultato il 20 luglio 2020 (archiviato il 19 agosto 2014). ^ Hedley Paul Willmott, First World War, Dorling Kindersley, 2003, pp. 186-187. ^ TARGHE DELLE AUTO ITALIANE, BREVE STORIA, su allaguida.it. URL consultato il 12 febbraio 2018 (archiviato il 13 febbraio 2018). ^ Dall'Annuario Generale 1929 del Touring Club Italiano a pag. 725 è citata Pola (PL). Queste sigle automobilistiche furono assegnate nel 1926 con la riforma del codice della Strada, riforma voluta dal governo fascista perché fino al 1925 in luogo della sigle alfabetiche c'era un numero di 1 o 2 cifre. Pola, in particolare, aveva il numero 70, quindi la centesima automobile immatricolata a Pola era codificata sulla targa con i numeri 70-100. Cfr. Annuario del Touring del 1923-24 a p. 165, nel paragrafo Numeri delle targhe d'auto e moto). ^ Summary: Islam in Europe, European Islam, su cser.it. URL consultato l'8 marzo 2019 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2009). ^ Trentino Friuli città, su www.rbvex.it. URL consultato il 5 giugno 2023. ^ Pupo, Spazzali, p. 2. ^ Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano, 2003, ISBN 88-04-48978-2, pag. 4 ^ Storia dell'Istria e della sua gente ^ Tabelle per targhe italiane, su targheitaliane.com. URL consultato il 27 novembre 2014 (archiviato il 4 dicembre 2014). ^ Da un atto deliberativo del 1947 della Giunta Comunale di Vieste (comune italiano in provincia di Foggia), si evince che Vieste fu l'unico Comune italiano che offrì formalmente la propria disponibilità a cedere parte del proprio territorio per consentire agli esuli di Pola di fondare la “Nuova Città di Pola”. Ulteriori particolari di queste vicende sono state illustrate dallo storico scrittore ed esule fiumano Carlo Cesare Montani. Una lapide commemorativa è presente sulle mura del Barbacane, presso la rotonda di Marina Piccola, in direzione Via Pola. ^ Come lamentato in un'interpellanza parlamentare dal presidente dell'Unione Italiana (e in alcuni casi, come a Parenzo e a Rovigno, è stato bruciato il tricolore italiano).
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