عانة (العراق)
( Anatha )Anatha (oggi Anah o Ana, in Iraq), era una città fondata sul fiume Eufrate, a circa metà strada tra il Golfo di Alessandretta e il Golfo Persico.
La sua fondazione risalirebbe al III millennio a.C. In seguito all'invasione della Mesopotamia fu occupata da Mitanni. Anche in epoca romana fu occupata, nel corso della campagna militare del 252/253[1] dalle armate sasanidi di re Sapore I. Un secolo più tardi, durante la campagna sasanide di Giuliano del 363, proprio qui ad Anatha, l'imperatore romano, trovò la prima opposizione nel corso della sua disastrosa spedizione contro la Persia. E sempre nei suoi pressi fu rifiutato il passaggio alle armate di Ziyad e Shureih, che costituivano nel 657 l'avanguardia dell'esercito di ʿAlī ibn Abī Ṭālib e che dovevano unirsi al loro signore in Mesopotamia.[2] Successivamente (nel 1058) Anatha fu il luogo d'esilio del califfo Qaim durante la dominazione di Basisiri.
Nel mese d'ottobre del 1616 Pietro Della Valle incontra ad Anah il viaggiatore scozzese George Strachan, in quel periodo medico al servizio dell'emir Feiàd. Della Valle, durante la sua permanenza di cinque giorni nelle città, apprende l'esistenza di un particolare culto differente dall'Islam: «Tra le altre cose curiose che intesi, una fu di certi infedeli nativi di quella città che vivono mescolati fra gli altri ma in secreto credono differentemente dai Maomettani, e sono di una setta stravagante, perché, secondo mi fu detto, non credono altro mondo, né altra vita, e forse né anco che si trovi Dio, poiché non fanno mai, né digiuni, né orazioni, né altre opere di culto divino, e senz'alcun riguardo di parentela, si congiungono insieme fin le madri coi figliuoli, e le sorelle coi fratelli senza scrupolo di peccato, né in questa cosa, né in altra. Si crede che adorino, o che in qualche modo riveriscano il sole; poiché la mattina, quando lo vedono spuntare, gli fanno certi inchini e saluti, con parole e con sogni di riverenza. Però tutte queste cose le fanno molto secretamente, perché se fossero scoperti e colti in fallo, sarebbero castigati severamente dai Maomettani, i quali detestano la loro setta, come empia, ed una volta che trovarono un libro che parlava di tal legge, per ordine dell'emir l'abbruciarono pubblicamente, ardendo insieme il libro ed un albero di palma, dove, come in forca, l'avevano attaccato».[3][4]
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