مسجد شیخ لطف‌الله

( Moschea dello sceicco Lotfollah )

La Moschea dello sceicco Loṭfallāh (in persiano مسجد شیخ لطف الله‎, Masjed-e Sheykh Loṭfollāh) è uno dei capolavori architettonici safavidi in Iran, che sorge sul lato orientale della Piazza Naqsh-e jahān di Iṣfahān, Iran.

La costruzione della moschea è iniziata nel 1603 e fu terminata nel 1619. È stata costruita dal capo architetto Shaykh Bahai, durante il regno di Shāh ʿAbbās I della dinastia safavide.

 Frontespizio del libro di Jean Chardin e dei suoi numerosi viaggi in Persia, pubblicato nel 1739.
 La porta d'ingresso che conduce dal vestibolo a forma di L nella moschea.

Dei quattro monumenti che hanno dominato il perimetro della Piazza Naqsh-e jahān, questo è stato il primo ad essere costruito.

Lo scopo di questa moschea era d'essere una moschea privata della corte reale, a differenza della Moschea dello Scià, che era stata pensata per il pubblico.[1] Per questo motivo, la moschea non ha minareti ed è di dimensione più piccola. In effetti, pochi occidentali al tempo dei Safavidi hanno prestato attenzione a questa moschea, e certamente non vi hanno avuto accesso. Non è stata fino ai secoli più tardi, quando le porte sono state aperte al pubblico, e la gente comune ha potuto ammirare lo sforzo che Shāh ʿAbbās aveva messo nel rendere questo un luogo sacro per le donne del suo harem, e lo squisito stile, che è di gran lunga superiore a quello che copre la Moschea dello Scià.

Per evitare di dover attraversare la maydān quando è in funzione la moschea, Shāh ʿAbbās chiese all'architetto di costruire un tunnel che attraversa tutta la piazza, dal Palazzo di ʿAlī Qāpū, alla moschea. Quando si raggiunge l'ingresso della moschea, si dovrebbe camminare attraverso un passaggio che si snoda in tondo, fino a quando si raggiunge l'edificio principale. Lungo questo passaggio vi erano in piedi delle guardie, e lo scopo evidente di questo progetto è stato eseguito per le donne dell'harem affinché fossero schermate, da parte di chiunque entrasse nell'edificio.[2] All'ingresso principale della moschea c'erano anche delle guardie in piedi, e le porte del palazzo erano tenuti chiuse tutto il tempo. Oggi, queste porte sono aperte ai visitatori, e il tunnel sotto la piazza non è più in uso.

Nel 1934 la moschea fu visitata da Robert Byron che ne lasciò una lunga ed entusiasta descrizione ne La via per l'Oxiana.

Lo sceicco Luṭfallāh

Nel corso della storia, questa moschea è stata definita con nomi diversi. Per Junabadi è stata la moschea con la grande cupola (Masjed-e qubbat-e ʿazīm) e la moschea a cupola (qubbat masjed), mentre lo storico contemporaneo Iskandar Munshi ha definito la moschea di grande purezza e bellezza.[3] D'altra parte, i viaggiatori europei come Jean Chardin si riferivano alla moschea utilizzando il nome corrente e le iscrizioni arabe all'interno della moschea, eseguite dal calligrafo Baqir Bahai, che includono anche il nome di Shaykh Luṭfallāh. Inoltre, i computi di Muḥibb ʿAlī Beg, imperiale del tesoro, mostrano che lo stipendio dell'imām proveniva direttamente dalle casse delle famiglie imperiali. Tutto questo suggerisce che non solo perché l'edificio prende il nome di Sheykh Luṭfallāh, ma anche che questo mistico di grande fama (suocero dello Scià) è stato tra i primi imām della preghiera per la corte reale in questa moschea.[4]

«Se la piccola stanza a cupola, infatti, è pura forma, non ha colore, e annulla la sua ornamentazione nella serietà della costruzione, la moschea di Sheykh Luṭfallāh nasconde qualsiasi traccia di costruzione o di forma dinamica sotto una fantasmagoria di superfici delicatamente curve, la variegata progenie del pennacchio originario. La forma c'è, e deve esserci; ma come sia creata, e che cosa la sostenga sono problemi di cui l'occhio superficiale non è consapevole, e così si vuole che sia, perché non si distolga dalla festa del colore e del disegno, Questi ultimi sono elementi normali nell'architettura persiana. Qui però raggiungono una qualità che deve sbalordire l'osservatore europeo, non perché infrangano quello che egli considerava il suo monopolio, ma perché prima di vedere quest'opera non avrebbe potuto immaginare che il disegno astratto potesse avere uno splendore così vertiginoso.»

^ Ferrier, R. W. A Journey to Persia, Jean Chardin's Portrait of a Seventeenth-century Empire. p. 53, p. 143 ^ http://www.kulturreiser.no/reisene/iran0411.asp[collegamento interrotto] ^ Blake, Stephen P. Half the World, The Social Architecture of Safavid Isfahan, 1590-1722. p. 149 ^ Blake, p. 149
Fotografie di:
Ara9979 - CC BY-SA 4.0
Self - CC BY-SA 3.0
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