Mont Blanc

( Monte Bianco )

Il Monte Bianco (Mont Blanc in francese e in arpitano), con un'altitudine di 4807 m s.l.m. (secondo l'ultima misura ufficiale effettuata il 3 dicembre 2017), è la montagna più alta delle Alpi, d'Italia, di Francia e anche d'Europa, secondo alcune convenzioni geografiche, da cui i soprannomi di tetto d'Europa e di Re delle Alpi, condividendo assieme al monte Elbrus nel Caucaso un posto tra le cosiddette Sette Vette del Pianeta.

Posta nel settore delle Alpi Nord-occidentali, lungo la sezione alpina delle Alpi Graie, sulla linea spartiacque tra la Valle d'Aosta (val Veny e val Ferret in Italia) e l'Alta Savoia (valle dell'Arve in Francia), nei territori comunali di Courmayeur e Chamonix-Mont-Blanc, dà il nome all'omonimo massiccio, appartenente alla sottosezione delle Alpi del Monte Bianco. Prevalentemente di natura granitica, irta di guglie e di creste, intagliata da profon...Leggi tutto

Il Monte Bianco (Mont Blanc in francese e in arpitano), con un'altitudine di 4807 m s.l.m. (secondo l'ultima misura ufficiale effettuata il 3 dicembre 2017), è la montagna più alta delle Alpi, d'Italia, di Francia e anche d'Europa, secondo alcune convenzioni geografiche, da cui i soprannomi di tetto d'Europa e di Re delle Alpi, condividendo assieme al monte Elbrus nel Caucaso un posto tra le cosiddette Sette Vette del Pianeta.

Posta nel settore delle Alpi Nord-occidentali, lungo la sezione alpina delle Alpi Graie, sulla linea spartiacque tra la Valle d'Aosta (val Veny e val Ferret in Italia) e l'Alta Savoia (valle dell'Arve in Francia), nei territori comunali di Courmayeur e Chamonix-Mont-Blanc, dà il nome all'omonimo massiccio, appartenente alla sottosezione delle Alpi del Monte Bianco. Prevalentemente di natura granitica, irta di guglie e di creste, intagliata da profondi valloni nei quali scorrono numerosi ghiacciai, è considerata una montagna di grande richiamo per l'alpinismo internazionale e, dal punto di vista della storiografia alpinistica, la nascita dell'alpinismo stesso coincide con la data della sua prima ascensione: l'8 agosto 1786.

Un antico documento curato in latino risalente al 1091 parla di una Rupes che a Chamonix veniva chiamata Alba e Rupes Alba è stato un toponimo del monte Bianco, che variò molte volte nel corso dei secoli. Si ha infatti notizia della denominazione di Says o Scez Blans nel 1319; nel 1532 di Mont Sainct Bernard; Glaciales Montes nel 1581; Mont Malay, Mont Malet o Montagne Maudite tra il 1606 e il 1743, ma anche La Glacière, Les Glacières o Les Glassières tra 1741 e il 1743[1]. Ben visibile da Ginevra, in questa città era conosciuto sia come Montagne Maudite sia con il nome di Mont Maudit e con tale nome fu indicato su una carta geografica riguardante i territori intorno al lago Lemano[2], pubblicata ad Amsterdam nel 1606 a opera del cartografo ginevrino Jacques Goulart (1580-1622), mentre il nome attuale in francese apparve per la prima volta in Inghilterra nel 1744 su una carta geografica edita a Londra[3]. A quei tempi l'intero massiccio era situato nel mezzo dei possedimenti di terraferma del Regno di Sardegna e i sovrani di Casa Savoia, futuri re d'Italia, per secoli ne erano stati i legittimi proprietari fino alla cessione della Savoia alla Francia nel 1861.

 Carta topografica italiana in cui la vetta del Monte Bianco segna il confine italo-francese.Le disparità cartografiche
  Lo stesso argomento in dettaglio: Frontiera sul Monte Bianco.
 Frontespizio della carta topografica del cap. J.J. Mieulet, 1865: è dovuta a questa carta topografica la nascita delle future disparità cartografiche.

Le carte geografiche dell'I.G.N - (Institut Geographique National de France) mostrano la vetta del monte Bianco interamente in territorio francese, in netto contrasto con le carte geografiche dell'I.G.M - (Istituto Geografico Militare di Firenze), nelle quali il confine tra i due Stati passa esattamente sulla cima. Un trattato bilaterale concluso nel 1861, tuttora legalmente valido, indica inequivocabilmente la cima come frontaliera, cioè divisa a metà tra i due Stati. Il rapporto sulle deportazioni alla frontiera afferma che il confine corre lungo la linea di cresta del massiccio, vista dalla piazza della chiesa del paese di Courmayeur. Tuttavia, la vetta del Monte Bianco non è visibile da Courmayeur, perché troppo profonda; la linea di cresta corre più a est e più in basso, all'altezza del Monte Bianco di Courmayeur (da cui il nome). All'epoca, questo record fu mantenuto dalla Francia come base legale per il confine, sebbene nulla sia specificato nel trattato di annessione. Questo confine è ancora riportato sulle attuali carte IGN 1:25.000. La parte corrispondente al versante italiano è attribuita al comune di Saint-Gervais-les-Bains.

Tale trattato fu sospeso durante tutta la durata della seconda guerra mondiale. Il 10 febbraio 1947, con il Trattato di Parigi[4], le autorità francesi decisero di mettere fine alla sospensione. La Convenzione di delimitazione, dopo diversi cambiamenti, fu allora rimessa in vigore. Sul vecchio tracciato stabilito nel 1861 le autorità transalpine pretesero quattro rettificazioni.

La più importante di queste riguardava la valle del Roia, Briga Marittima, Tenda, e tre minori: una sul versante italiano del Colle del Monginevro, un'altra sul Colle del Moncenisio, e poi sul Piccolo San Bernardo. Sulla vetta del monte Bianco la frontiera non subì nessun cambiamento.

Nella seconda metà del XIX secolo, su dei rilievi effettuati da un cartografo dell'esercito francese, il capitano J. J. Mieulet, venne pubblicata in Francia una carta topografica, che arbitrariamente inglobava la vetta in territorio francese, facendo fare al confine di stato una deviazione dalla linea spartiacque, e dando in questo modo origine alle differenze con le carte pubblicate in Italia nello stesso periodo, differenze che la cartografia ufficiale italiana sin dall'inizio mai riconobbe. Secondo gli autori di un libro apparso anni fa nelle librerie italiane e francesi, la carta topografica del 1865 è un clamoroso falso storico senza alcun valore giuridico, in contrasto con gli accordi sottoscritti tra i due Stati sin dal 1860 e ribaditi nel 1947[5][6].

Nel 2002 i due enti cartografici menzionati, i rispettivi Club Alpini, le regioni frontaliere e gli Stati interessati hanno pubblicato una carta topografica condivisa. Questa nuova carta, parte del progetto Alpi senza frontiere, fa un passo avanti rispetto alle vecchie carte, ma manca ancora di chiarezza sulle vette contese e le crocette che segnano i confini appaiono volutamente distanziate, anche se le differenze con la carta "I.G.N. top 25" del 1998 sono evidenti. Nel settembre 2013 alcune guide francesi sbarrarono il passaggio alla vetta con un cancello che alcuni giorni dopo fu rimosso dagli italiani[7].

Dal 2017 Google Earth utilizza le cartografie dell'I.G.M. e della NATO. Quest'ultima riprende i dati da quelli italiani dell'I.G.M., basati sui passati trattati ufficiali in vigore ed è essenziale a livello militare internazionale in caso di un'eventuale disputa. Il territorio che va dal rifugio Torino sino alla vetta più alta del massiccio del monte Bianco è sotto il controllo delle autorità italiane[8][9][10]. Con gli attuali sconvolgimenti climatici, la Protezione civile italiana ha evidenziato la necessità di un chiarimento tra le due amministrazioni in modo da evitare fraintendimenti sulle competenze riguardanti la sorveglianza del ghiacciaio sulla displuviale le cui acque, in caso di scioglimento, coinvolgerebbero totalmente il territorio italiano[11].

 Cerimonia di riapertura della Scuola Militare Alpina di Aosta nel 1948.Le scuole militari
  Lo stesso argomento in dettaglio: Centro addestramento alpino.

Alla fine del secolo XIX nelle nazioni dell'arco alpino vennero creati reparti speciali addestrati per la guerra in montagna. L'alpinismo entrò così a far parte della preparazione militare, insieme all'uso degli sci. Il 9 gennaio 1934 ad Aosta venne costituita la Scuola Militare di Alpinismo, con distaccamenti a La Thuile e Courmayeur. Il primo comandante della scuola fu il tenente colonnello Luigi Masini. La Francia già si era dotata nel 1932 del l'ècole de Haute Montagne (E.H.M) con sede a Chamonix[12]. Il grandioso scenario del gruppo del Bianco fu teatro allora delle spettacolari esercitazioni delle scuole militari dei due paesi, con manovre in alta quota di reparti specializzati. Alla scuola di Aosta, diventata l'Università dell'alpinismo, affluirono dalle valli alpine italiane i nomi migliori dell'alpinismo e dello sci nazionale. In breve furono organizzate e portate a termine imprese che all'epoca destarono grande ammirazione[13].

Il 22 giugno 1935 oltre 200 allievi alpieri della Scuola prestarono solenne giuramento di fedeltà alla Patria e al Re sulla cima del Bianco scalandolo per vie diverse, alcune delle quali tra le più impegnative[12]. L'anno seguente 600 uomini completamente armati attraversarono la catena delle Grandes Murailles, da Valpelline a Valtournanche. Nel 1937 una imponente esercitazione in alta quota impegnò l'intero battaglione Duca degli Abruzzi (500 uomini) che occupò tutti i valichi di confine con la Francia per risalire, per vie diverse, sulla vetta del Tetto delle Alpi. Nel 1938 fu il turno delle truppe specializzate francesi che si ritrovarono sul Bianco il 14 luglio[12].

La Scuola Militare di Alpinismo di Aosta divenne in pochi anni famosa e conosciuta a livello internazionale. Successivamente, relativamente proprio al Monte Bianco, venne istituito il Reparto Autonomo Monte Bianco, costituito dagli elementi migliori degli alpini. Il compito del reparto (corrispondente come organico a una compagnia) era di presidiare la zona del Bianco dal Colle della Seigne al Col Ferret. Per meglio organizzarlo, fu diviso in tre schieramenti comandati da nomi celebri dell'alpinismo italiano come Giusto Gervasutti (il Miage), Renato Chabod (il Gigante) ed Emanuele Andreis (il Ferret). La scuola partecipò fin dagli esordi a eventi agonistici nell'ambito degli sport invernali e vinse nel 1936 a Garmisch la gara olimpica di pattuglia militare. Nel triennio 1935-1937 vinse inoltre il Trofeo Mezzalama di sci alpinismo.

Le battaglie del Monte Bianco  Il Dente del Gigante

Nel corso della seconda guerra mondiale il monte Bianco divenne il campo di battaglia d'Europa più alto in quota[14]. Prima il rifugio Torino (3375 m), poi il col du Midi (3564 m) furono teatro di sanguinosi scontri tra soldati tedeschi e partigiani francesi e italiani. Ancora prima, nel 1940, Benito Mussolini, fino ad allora non belligerante, persuaso che il conflitto stava terminando, dichiarò guerra alla Francia. Il 10 giugno 1940 il 5º Reggimento alpini e il Battaglione Duca degli Abruzzi sferrarono l'attacco partendo dalle pendici del Bianco, in Val Veny, verso il col della Seigne, incontrando oltrefrontiera una forte resistenza nelle fortificazioni francesi a Sélonges in Val de Glaciers.

Le ostilità sul fronte occidentale durarono poco tempo e 14 giorni dopo, con l'armistizio del 24 giugno 1940, le operazioni si fermarono impedendo ulteriori avanzate italiane. Quattro anni più tardi, dopo lo sbarco alleato in Normandia e quello in Provenza nell'agosto del 1944, i tedeschi (Wehrmacht) iniziarono il ripiegamento verso la Germania risalendo la valle del Rodano inseguiti dagli americani della 7ª Armata del generale Alexander Patch e dai francesi del generale Jean de Lattre de Tassigny. Alla Resistenza francese gli americani assicuravano rifornimenti di viveri e armi. Dal cielo piovevano in Savoia contenitori pieni di fucili, mitra, pistole, bombe, bazooka, granate, munizioni di ogni tipo. Il 13 agosto il comando delle forze libere francesi chiese il sostegno della Resistenza valdostana per la liberazione della Savoia[15].

Dopo violenti combattimenti il presidio di Chamonix si arrese il 17 agosto. Due mesi dopo, in ottobre, a difesa del Massiccio fu creato in Francia il battaglione Mont Blanc, formato da tre compagnie nelle quali confluirono le formazioni di partigiani dell'alta Valle dell'Arve, guide di Chamonix, maestri di sci e guide del C.A.F. (Club Alpin Français). Il loro compito era quello di occupare e presidiare i rifugi di alta quota. Al rifugio Simond, al col du Midi, fu inviata una sezione di S.E.S (Section d'Eclaireurs-Skieurs), ossia una sezione di esploratori con sci del corpo dei Cacciatori alpini francesi al comando del tenente Jacques Rachel[15].

 Il rifugio Torino e Courmayeur nella vallata.La battaglia al rifugio Torino

Approfittando della mancata presenza tedesca sul Massiccio, gli esploratori alpini occuparono il rifugio Torino, sul colle del Gigante nel versante italiano. Da quella posizione potevano vedere quanto avveniva nel fondovalle, controllando i movimenti del fronte opposto che in quel periodo si era stabilizzato sul Piccolo San Bernardo. I tedeschi, che si erano accorti della loro presenza, pianificarono un attacco per neutralizzarli[15]. Il 2 ottobre 1944 una pattuglia formata da un ufficiale e otto Gebirgsjäger (cacciatori alpini tedeschi) salì nella notte sul colle del Gigante aspettando il momento propizio per attaccare.

Finita una bufera di neve che nel frattempo imperversava, verso le 10:30 sferrarono a sorpresa un violento attacco contro gli occupanti del rifugio che si difesero strenuamente prima di arrendersi. Nella battaglia persero la vita tre partigiani francesi e uno italiano, gli altri vennero fatti prigionieri e portati a valle. Il rifugio venne poi danneggiato per renderlo inutilizzabile dalla Resistenza. Venticinque giorni dopo la battaglia, il 27 ottobre, Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica, ritornando in Italia dopo l'esilio, passò la notte proprio nel rifugio Torino semidistrutto in quell'azione[15]. Il giorno successivo i partigiani valdostani lo accompagnarono verso zone non controllate dai tedeschi.

La battaglia al Col du Midi  Aiguille du Midi

Nonostante l'inverno 1944-1945 fosse stato molto rigido e con un susseguirsi ininterrotto di bufere di neve sul Bianco, gli esploratori francesi si inoltravano spesso sul confine italiano per controllare i movimenti nemici e prevenire eventuali attacchi. I tedeschi consci di questa continua sorveglianza decisero di occupare la displuviale fino al rifugio Simond sul col du Midi e neutralizzare la teleferica[15]. Dal comando tedesco fu così pianificata l'operazione Himmelfahrt ("ascensione al cielo"), sotto il comando dell'Oberleutenant Hengster, esperto alpinista, che poteva contare su 176 uomini tra ufficiali e soldati delle truppe scelte per combattimenti in alta quota. I loro movimenti e le loro esercitazioni nelle settimane precedenti l'attacco furono seguite attentamente dalla Resistenza valdostana e segnalate tempestivamente sia agli Alleati, sia via radio in patois valdostano alla Resistenza francese[15]. Il 16 febbraio 1945 i tedeschi salirono al rifugio Torino ma il giorno stesso furono individuati dagli esploratori francesi. Il giorno dopo partì l'attacco.

I tedeschi scesero attraverso la Vallée Blanche diretti al rifugio Simond. Il loro piano prevedeva un attacco centrale sostenuto dal grosso delle forze mentre due distaccamenti investivano il col du Rognon sulla destra e sulla sinistra le rocce del Tacul[15]. Il tenente Rachel non volle farsi sorprendere e decise di andare incontro al nemico con il quale prese contatto già nella notte. Dopo un violento scontro i francesi decisero di ritirarsi arrampicandosi sulla cresta del Rognon, ma la loro posizione si rivelò ben presto indifendibile[15]. Ripiegarono nuovamente attraversando la Vallée Blanche sotto il tiro di una mitragliatrice tedesca. Raggiunsero le forze rimaste al col du Midi e si arroccarono rispondendo al fuoco tedesco. La radio dei tedeschi era fuori uso cosicché questi non ebbero modo di utilizzare l'artiglieria mentre la loro posizione diventava sempre più critica[15]. Decisero di ritirarsi mentre un aereo francese, comparso improvvisamente, buttava granate dall'alto[16]. Ripiegarono e si disposero a difesa sul colle del Gigante. L'attacco a sorpresa al rifugio Simond era fallito. I tedeschi subirono la perdita di nove soldati mentre i francesi contarono una sola perdita[15].

 Mont Blanc du Tacul

A quel punto i Transalpini rafforzarono il loro presidio sul Col du Midi facendo arrivare mitragliatrici e due batterie da montagna. Con tali obici, senza poterla visualizzare, tentarono di colpire la funivia sul mont Fréty, quella che collegava il colle con il fondovalle, ma inutilmente. Furono loro invece bersaglio degli obici tedeschi che dal monte Fréty tirarono salve sul rifugio Simond e sulla teleferica. Riuscirono a centrarli entrambi, spezzando un cavo di sostegno della funivia e distruggendo il rifugio[15]. Questa volta fu una battaglia di artiglierie. I francesi ripresero a sparare il giorno dopo aiutati da un aereo ricognitore che per radio dava indicazioni sulla riuscita dei tiri. Un colpo centrò il pilone di sostegno della teleferica mettendola fuori uso.

Il caso Vincendon-Henry

Il caso Vincendon Henry fu una tragica vicenda alpinistica che coinvolse due giovani scalatori: Jean Vincendon, parigino di 24 anni, e François Henry, 22 anni, di Bruxelles. I due partirono il 22 dicembre 1956 per passare il Capodanno sullo Sperone della Brenva, maestosa sommità rocciosa nel versante est del Monte Bianco. Durante il percorso di avvicinamento incontrano Walter Bonatti e Silvano Gheser che si avviavano verso l'ascensione invernale della Via della Poire. L'ascensione di entrambe le cordate iniziò alle 4 del mattino di Natale, orario ideale per l'itinerario di Vincendon e Henry, ma già troppo tardi per quello che avrebbero dovuto percorrere Bonatti e Gheser. Infatti, dopo qualche ora di sole le condizioni del ghiaccio peggiorarono e la cordata di Bonatti fu costretta a discendere sulla Brenva e a seguire la cordata di Vincendon.

I quattro alpinisti vennero però colti da una violenta tempesta che li costrinse a un drammatico bivacco di 18 ore a quota 4.100 m. Bonatti e Gheser riuscirono a raggiungere il rifugio Gonella dove vennero salvati, il 30 dicembre, dalle guide alpine Gigi Panei, Sergio Viotto, Cesare Gex e Albino Pennard. Gheser, colpito da gravi congelamenti, avrà alcune dita di entrambi i piedi e di una mano amputate. Vincendon e Henry, che optarono per raggiungere direttamente Chamonix, morirono dopo cinque giorni di freddo a 4000 m di altezza nell'attesa che le squadre di soccorso, bloccate dal maltempo, li prelevassero (ancora vivi li raggiungerà un elicottero che però cadrà sul ghiacciaio). I corpi dei due giovani alpinisti furono recuperati solo nel marzo del 1957. La tragedia segnerà l'istituzione del PGHM, il gruppo militare di soccorso alpino francese (Peloton spécialisé de haute montagne)[17].

 Il versante est del Monte Bianco. Da sinistra verso destra: la parete est dell'Aiguille Blanche de Peuterey, i piloni del Freney che emergono da dietro la cresta di Peuterey, la rocciosa parete est del Grand Pilier d'Angle al centro, la parete della Brenva a destra sovrastata dalla vetta del Monte Bianco.La tragedia del Freney

Nel mese di luglio del 1961 sul versante italiano del Bianco si consumò una delle vicende più drammatiche della storia dell'alpinismo[18]. Il Pilone Centrale del Freney era una meta molto ambita dagli scalatori di tutto il mondo, una delle ultime non ancora conquistate. La sua parete di granito rosso era difficilissima da scalare e per molti addirittura ritenuta impossibile. Walter Bonatti e Pierre Mazeaud, già entrambi leggende dell'alpinismo, si incontrarono domenica 9 luglio al Bivacco della Fourche diretti verso lo stesso obiettivo e decisero di unire le forze per tentare la scalata insieme.

Con loro Andrea Oggioni, Roberto Gallieni, Pierre Kohlmann, Robert Guillaume e Antoine Vieille, tutti rocciatori conosciuti ed esperti. Il tempo era buono ed erano previste condizioni stabili. Dopo una giornata e mezza di avvicinamento, raggiunsero la Chandelle, ossia la cuspide sommitale del pilone, a 4.500 m di quota. Quando mancavano 120 m alla fine della scalata, la cordata fu investita da un'improvvisa bufera di neve che li bloccò sulla parete. Erano le 2 del pomeriggio di martedì 11 luglio: il tempo era cambiato velocemente come spesso accade sul Monte Bianco. Fu impossibile continuare, bisognava ritirarsi per trovare riparo nel rifugio Gamba (attuale rifugio Monzino). Le guide alpine Gigi Panei e Alberto Tassotti furono i primi a mettersi alla ricerca delle due cordate Bonatti-Mazeaud e a comprendere la disperata situazione dei sette alpinisti, dopo averne scoperto le tracce al Bivacco della Fourche. A Courmayeur accorsero giornalisti e curiosi e tutta l'Italia seguì lo sviluppo della tragedia, raccontata ora per ora in diretta televisiva e radiofonica dai giornalisti Emilio Fede e Andrea Boscione[19]. Panei, dopo aver letto sul libro blu del rifugio il messaggio di Bonatti ("Meta il Pilastro Centrale di Freney"), si precipitò nella sede della Società delle Guide Alpine di Courmayeur, evitò Emilio Fede che avrebbe voluto intervistarlo, e andò diretto verso il consigliere delle Guide Toni Gobbi per dargli la notizia[20]. Partirono subito i soccorsi, coordinati da Ulisse Brunod per rintracciare gli alpinisti oramai bloccati da tre giorni.

La mattina del 15 luglio, stremato dal freddo e dalla fatica, perse la vita Antoine Vieille ai Rochers Gruber, dopo 5 bivacchi in parete. Robert Guillaume, nella serata dello stesso giorno, precipitò in un crepaccio del ghiacciaio del Freney. Nella notte tra sabato e domenica 16 luglio fu Andrea Oggioni a perdere la vita sul colle dell'Innominata a soli tre quarti d'ora dal rifugio Gamba. I superstiti si avvicinavano lentamente alla salvezza, ma appena prima di giungere al rifugio Pierre Kohlmann crollò nella neve privo di vita[21]. Alle 3 del mattino di domenica, Walter Bonatti e Gallieni giunsero finalmente al rifugio Gamba dove trovarono gli uomini delle squadre di soccorso. Subito dopo raggiunsero Mazeaud rimasto indietro, salvandolo.

 Bombardiere B17 Fortezza volante.Aviazione 11 febbraio 1914: Agénor Parmelin è il primo aviatore a sorvolare il Gruppo del Bianco[22]. 1955: Jean Moine è il primo pilota ad atterrare sulla cima con un elicottero (un Bell 47 G). 23 giugno 1960: l'aviatore Henri Giraud atterra sulla cima del Monte Bianco su una "pista" lunga appena 30 m[23]. 1973: il primo decollo dalla vetta in deltaplano fu fatta da Rudy Kishazy. 1982: il primo decollo in parapendio fu effettuato da Roger Fillon. 1º luglio 1986: Dominique Jacquet e Jean-Pascal Oron sono i primi ad atterrare con un paracadute sulla vetta.I disastri aerei

Sul versante italiano del Bianco, caratterizzato da aspre pareti ricadenti nel territorio comunale di Courmayeur, si sono verificati diversi incidenti aerei che hanno causato la perdita di molte vite umane. Nella loro discesa verso il fondovalle, i ghiacciai trasportano testimonianze di quelle tragedie restituendo parti di carlinghe, resti di motori e di eliche, spoglie umane e vestiario che insieme ad altri reperti aiutano a ricostruire quanto accaduto. Il 1º novembre del 1946 un bombardiere americano B17 Fortezza volante esplose sulla cresta sud-ovest dell'Aiguille des Glaciers in alta Val Veny[24]. Era un quadrimotore di 23 m di lunghezza e 32 m di apertura alare, con numero di serie 43-39338 appartenente al 61st Troop Carrier Group di stanza in Italia. Partiva da Napoli ed era diretto verso Londra con a bordo otto passeggeri, fra i quali figuravano tre ufficiali: due tenenti colonnelli e un maggiore[24]. Le cause non sono mai state accertate ma molto probabilmente le cattive condizioni meteorologiche ebbero un ruolo determinante. I primi relitti insieme a resti umani furono scoperti nel 1970 nei pressi del rifugio Elisabetta, trasportati dal ghiacciaio dell'Estelette. Successivamente, sul versante francese, il Glacier des Glaciers restituì altri resti di soldati americani membri dell'equipaggio[24].

 Il Malabar Princess si schiantò nei pressi del Rocher de la Tournette.

Sempre sul versante est, appena sotto la cima dove si origina il Ghiacciaio del Monte Bianco, tra il Rocher de la Tournette e il Monte Bianco di Courmayeur, due aerei della compagnia Air India si schiantarono tragicamente a distanza di sedici anni uno dall'altro. Il 3 novembre 1950, il Malabar Princess, un quadrimotore Lockheed Constellation L 749 operante sulla linea Bombay – Londra, si apprestava ad affrontare la discesa verso Ginevra dove era prevista una sosta intermedia[25]. L'aereo era pilotato dal comandante inglese Alain R. Saint che ben conosceva la rotta. L'ultimo contatto radio avvenne alle 10:43, quando la torre di controllo di Grenoble ricevette una comunicazione dal comandante che riferiva di trovarsi sulla verticale di Voiron a 4.700 m di quota[25]. Da allora in poi si persero i contatti. Le pessime condizioni meteorologiche rallentarono le ricerche. Una violenta bufera di neve si protrasse per due giorni impedendo ai soccorsi di avvicinarsi al luogo del disastro[25].

Il 5 novembre, con il miglioramento del tempo, un aereo svizzero avvistò un'ala dell'aereo conficcata nei ghiacci del versante italiano. L'aereo si era schiantato a 4.677 m d'altitudine, appena sotto la cima del Monte Bianco nei pressi del Rocher de la Tournette, della Grande Bosse e della Petite Bosse (Bosses du Dromadaire) a circa 1.000 m dalla capanna Vallot[26]. La neve fresca di novembre complicò l'arrivo dei soccorsi aumentando la possibilità di valanghe e dissimulando crepacci. Uno di questi fu fatale per René Payot, guida di Chamonix, che perse la vita a 100 metri dal luogo dove nel 1936, per tragica coincidenza del destino, scomparve il fratello travolto da una valanga[26]. Non si salvò nessuno dei 48 passeggeri (40 + 8 componenti dell'equipaggio) e le esatte cause non furono mai accertate. Nel 2008, una studentessa inglese, al seguito del glaciologo Tim Reyd che studiava il ghiacciaio del Miage in Val Veny, dopo essersi inoltrata per 2 km tra i crepacci, trovò affiorante tra i ghiacci un contenitore blu nel cui interno erano conservate 75 lettere del 1950 tutte dirette in America[27]. Erano parte del carico del Malabar Princess che trasportava, oltre ai passeggeri, bauli di corrispondenza[28].

 Grandes Jorasses

Il 15 settembre 1986 nel versante francese, sul ghiacciaio dei Bosson a 1.900 m di altitudine, riaffiorò tra i ghiacci uno dei motori, e un secondo fu rinvenuto il 22 settembre del 2008, a 2000 m sempre sullo stesso ghiacciaio[29]. Il 24 gennaio 1966 la stessa sorte fu riservata al Boeing 707 Kangchenjunga, in volo sulla tratta Bombay – New York con scali intermedi a Beirut, Ginevra e Londra. L'aereo, seguito dai radar di Milano mentre si apprestava a sorvolare il Monte Bianco, improvvisamente scomparve dagli schermi. Tramite elicotteri, i soccorritori raggiunsero rapidamente il luogo del disastro. Dei 117 passeggeri non si salvò nessuno. Tra le vittime si trovava il fisico nucleare Homi Jehangir Bhabha, padre dell'atomica indiana. Nel suo cargo l'aereo trasportava 200 scimmie destinate a un laboratorio medico. Secondo le testimonianze dei soccorritori alcune sopravvissero allo schianto. Nell'estate del 1985 due alpinisti piemontesi nella loro ascesa al Monte Bianco si imbatterono nella coda del Kangchenjunga che sotto un velo luccicante di ghiaccio lasciava trasparire la silhouette di una danzatrice del ventre, simbolo della compagnia aerea[28]. Si disse all'epoca della scomparsa dell'aereo che a bordo c'era un marajà e si fantasticò che la stiva del Boeing contenesse una grande quantità di gioielli e che l'estate successiva non pochi si cimentarono tra i ghiacci in una sorta di caccia al tesoro[28]. Entrambi gli aerei si schiantarono quasi sulla cima e i rottami vennero disseminati dappertutto anche oltre la frontiera in territorio francese. Nel lento scorrere verso valle i ghiacci restituiscono pezzi di carlinga e delle ali, tenendo sempre vivo il ricordo di quelle tragedie.

 Chamonix, gruppo bronzeo con Jacques Balmat detto Mont Blanc che indica a H.B. De Saussure la strada per raggiungere la vetta
^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Monte-Bianco ^ Jacques Goulart, Carta geografica Lago Lemano di J. Goulart, su swaen.com. URL consultato il 26 gennaio 2011. ^ Umberto Pelazza, L'epopea al veleno della conquista del Bianco, su ana.it. URL consultato il 26 gennaio 2011. ^ Treaty Series United Nations, Trattato di pace di Parigi (1947) (PDF), su treaties.un.org. URL consultato il 9 settembre 2015. ^ Claudio Colombo, La mappa francese del 1865 ? Un falso.., su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 26 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 1º agosto 2012). ^ Club Alpino Italiano, Ridateci il nostro Monte Bianco (Pag. 6) (PDF), su cai.it. URL consultato il 26 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 20 gennaio 2013). ^ Enrico Martinet, Italia contro Francia, su La Stampa, 13 settembre 2015. URL consultato il 2 febbraio 2023. ^ Cristina Marrone, Italia-Francia, il duello dei confini sulla cima del Monte Bianco, su Corriere della Sera, 8 settembre 2015. URL consultato il 2 febbraio 2023. ^ Google rivede i confini del Monte Bianco: per il colosso del web la vetta non ha padroni, su La Stampa, 6 gennaio 2018. URL consultato il 2 febbraio 2023. ^ Maurizio Crosetti, Il business dei turisti che riaccende la lite sul Monte Bianco, su la Repubblica, 9 settembre 2015. URL consultato il 2 febbraio 2023. ^ Dario Rivolta, L'eclatante caso del Monte Bianco (PDF), su dariorivolta.it. URL consultato il 22 ottobre 2010. ^ a b c Giuseppe Calò, Il Monte Bianco nella tormenta della guerra, su icsm.it. URL consultato il 23 ottobre 2010. ^ Franco Fucci, Aosta l'università della montagna, su smalp91.com. URL consultato il 23 ottobre 2010. ^ Video (in francese) dove vengono fatti vedere gli esploratori francesi sul Bianco durante le operazioni di guerra [1] ^ a b c d e f g h i j k Giuseppe Calò, Il Monte Bianco nella tormenta della guerra, su icsm.it. URL consultato il 30 ottobre 2010. ^ Sylvain Tarrano, Un eroe di guerra discreto, su ailesahs.com. URL consultato il 30 ottobre 2010. ^ Sito non ufficiale Archiviato il 27 marzo 2009 in Internet Archive. ^ Giovanni Staiano, Freney, luglio 1961: 4 giorni di maltempo causarono una delle più grandi tragedie dell'alpinismo, su meteogiornale.it. URL consultato il 28 ottobre 2010. ^ Intervista a Marco Albino Ferrari, Un dramma nazionale sul Monte Bianco, su infinitestorie.it. URL consultato il 5 novembre 2010. ^ Antonio Panei, Gigi Panei e Courmayeur, Aracne editrice, Roma, 2015, ISBN 978-88-548-8751-0 ^ Erri De Luca, E in vetta al mitico Monte Bianco alla fine esplose tutto il mondo, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 28 ottobre 2010 (archiviato dall'url originale il 19 dicembre 2012). ^ (FR) Il primo aereo sorvola il Monte Bianco, su pionnair-ge.com. ^ Il primo aereo si posa sulla cima del Bianco, su pionnair-ge.com. ^ a b c Sara Strippoli, Il Bianco restituisce la Fortezza volante, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 1º dicembre 2010. ^ a b c La tragedia del Malabar Princess sul Monte Bianco, su montagnadilombardia.com. URL consultato il 10 novembre 2010. ^ a b Sylvain Tarrano, Une série de drames dans la montagne (3), su ailesahs.com. URL consultato il 10 novembre 2010. ^ Immagine con delle lettere rinvenute nel ghiacciaio delMiage Archiviato il 29 ottobre 2013 in Internet Archive. ^ a b c Enrico Martinet, C'è posta per te dai ghiacci del Bianco, su www3.lastampa.it. URL consultato il 10 novembre 2010 (archiviato dall'url originale il 30 agosto 2010). ^ P.B. (lefigaro.fr) avec AFP, Un motore del Malabar Princess affiora dopo 58 annia, su lefigaro.fr. URL consultato il 10 novembre 2010 (archiviato dall'url originale il 20 giugno 2011).
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