Castel Sant'Angelo
Castel Sant'Angelo (o Mole Adrianorum o Castellum Crescentii nel X-XII sec.), detto anche mausoleo di Adriano, è un monumento di Roma, situato sulla sponda destra del Tevere di fronte al pons Aelius (attuale ponte Sant'Angelo), a poca distanza dal Vaticano, tra il rione di Borgo e quello di Prati; è collegato allo Stato del Vaticano attraverso il corridoio fortificato del "passetto". Il castello è stato radicalmente modificato più volte in epoca medievale e rinascimentale.
Proprietà demaniale dello Stato Italiano, dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo ha gestito tramite il Polo museale del Lazio, e dal dicembre 2019 attraverso la Direzione Musei statali di Roma.
Nel 2022 ha ricevuto 966 623 visitatori, risultando uno dei musei più visitati d'Italia.
Tutto ha inizio nel 135 d.C. quando l'imperatore Adriano chiede all'architetto Demetriano di costruire un mausoleo funebre per sé e i suoi familiari, ispirandosi al modello del mausoleo di Augusto, ma con dimensioni gigantesche. I lavori durarono diversi anni e furono ultimati da Antonino Pio nel 139. Venne costruito di fronte al Campo Marzio, al quale fu unito da un ponte appositamente costruito, il Ponte Elio. Il mausoleo era composto da una base cubica, rivestita in marmo lunense, avente un fregio decorativo a teste di buoi (Bucrani) e lesene angolari. Nel fregio prospiciente il fiume si leggevano i nomi degli imperatori sepolti all'interno. Sempre su questo lato si presentava l'arco d'ingresso intitolato ad Adriano; il dromos (passaggio d'accesso) era interamente rivestito di marmo giallo antico.
Al di sopra del cubo di base era posato un tamburo realizzato in peperino e in opera cementizia (opus caementicium) tutto rivestito di travertino e lesene scanalate. Al di sopra di esso sorgeva un tumulo di terra alberato circondato da statue marmoree, che ornavano il perimetro del monumento; di esse si conservano dei frammenti rinvenuti in loco. La statua rinvenuta più integra è il famoso Fauno Barberini. Il tumulo era infine sormontato da una gigantesca quadriga in bronzo guidata dall'imperatore Adriano, raffigurato come il sole posto su un alto basamento o, secondo altri, su una tholos circolare. Attorno al mausoleo correva un muro di cinta con cancellata in bronzo decorata da pavoni di bronzo dorato, due dei quali sono conservati al Vaticano.
Castel Sant'Angelo foto aerea 1938All'interno, pozzi di luce illuminavano la rampa elicoidale in laterizio rivestita in marmo che con una lenta salita collegava l'ingresso o dromos alla cella funeraria, posta al centro del tumulo. Quest'ultima, quadrata e interamente rivestita di marmi policromi, era sormontata da altre due sale, forse anch'esse utilizzate come celle sepolcrali.
Il Mausoleo ospitò i resti dell'imperatore Adriano e di sua moglie Vibia Sabina, dell'imperatore Antonino Pio, di sua moglie Faustina maggiore e di tre dei loro figli, di Lucio Elio Cesare, di Commodo, dell'imperatore Marco Aurelio e di altri tre dei suoi figli, dell'imperatore Settimio Severo, di sua moglie Giulia Domna e dei loro figli e imperatori Geta e Caracalla.[1]
Il mausoleo perse in parte la sua funzione quando fu collegato alle Mura Aureliane, diventando parte del sistema difensivo cittadino.
Dal Medioevo all'Ottocento Il Castello e il ponte Vittorio Emanuele II.Nel 403 l'imperatore d'Occidente Onorio incluse l'edificio nelle Mura aureliane: da quel momento l'edificio perse la sua funzione originaria di sepolcro, diventando un fortilizio, baluardo avanzato oltre il Tevere a difesa di Roma.[2] Fu allora che il mausoleo venne indicato per la prima volta con l'appellativo di castellum. Salvò la zona del Vaticano dal sacco dei Visigoti di Alarico del 410 e dei Vandali di Genserico del 455. Allora, per difendersi, i romani scagliarono sugli assalitori tutto ciò che avevano a portata di mano, persino le statue: una di queste, il cosiddetto Fauno Barberini, venne ritrovata più tardi nei fossati del fortilizio.[3] Agli inizi del VI secolo venne adibito a prigione di Stato da parte di Teodorico.[4]
Secondo la tradizione, il monumento ottenne il suo nome attuale nel 590. Poiché Roma era flagellata da una grave pestilenza, papa Gregorio I decise di organizzare una solenne processione penitenziale. Mentre il pontefice, alla guida della processione, stava attraversando Ponte Elio, ebbe la visione dell'arcangelo Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua spada: ciò fu interpretato come un segno celeste preannunciante l'imminente fine dell'epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da quel momento la Mole Adriana fu nota come Castel Sant'Angelo: sulla sua sommità fu eretta una chiesa intitolata a "Sant'Angelo usque ad caelos"[5] e, nel XIII secolo, una statua ritraente l'angelo in atto di rinfoderare la spada.[6] Ancora oggi nel Museo Capitolino è conservata una pietra circolare con impronte dei piedi che secondo la tradizione sarebbero quelle lasciate dall'Arcangelo quando si fermò per annunciare la fine della peste[7].
Il possesso del fortilizio fu oggetto di contesa di numerose famiglie nobili romane: nella prima metà del X secolo la mole diventò la roccaforte del senatore Teofilatto e della sua famiglia, la figlia Marozia e il nipote Alberico, che la utilizzarono anche come prigione, uso che il castello conserverà fino al 1901.[3] Nel 932 Marozia, già amante di papa Sergio III e moglie di Alberico I marchese di Spoleto e poi di Guido di Toscana, forse per fare la "spiritosa"[8] volle celebrare il suo terzo matrimonio con Ugo di Provenza nella camera sepolcrale degli imperatori in Castel Sant'Angelo. Ma il gesto non le portò fortuna perché, durante il pranzo nuziale, Alberico II, il figlio di primo letto, apparve improvvisamente in Castel Sant'Angelo, costringendo Ugo alla fuga e impadronendosi del potere. Marozia finì oscuramente i suoi giorni in una cella di Castel Sant'Angelo.[8]
Nella seconda metà del X secolo il castello passò in mano ai Crescenzi e vi rimase per un secolo, durante il quale i Crescenzi lo rafforzarono al punto da imporre alla costruzione il loro nome: Castrum Crescentii. Con questo nome Castel Sant'Angelo venne identificato a lungo, anche dopo il passaggio di proprietà ai Pierleoni e successivamente agli Orsini, ai quali fu ceduto probabilmente da papa Niccolò III di questa famiglia, che lo tennero fino al 1365 circa quando lo cedettero alla Chiesa.[9]
Niccolò III considerata la fama di imprendibilità del castello e la sua vicinanza con la Basilica di San Pietro e il Palazzo Vaticano, decise di trasferirvi parzialmente la sede apostolica, allora nel Palazzo Lateranense, da lui giudicato poco sicuro. [10] Per garantire una maggiore sicurezza al Palazzo Vaticano, realizzò il celebre passetto, che costituiva il passaggio protetto per il pontefice dalla basilica di San Pietro alla fortezza.[2]
Nel 1367 le chiavi dell'edificio vennero consegnate a papa Urbano V, per sollecitarne il rientro a Roma dall'esilio avignonese. Da questo momento Castel Sant'Angelo lega inscindibilmente le sue sorti a quelle dei pontefici: per la sua struttura solida e fortificata i papi lo utilizzeranno come rifugio nei momenti di pericolo, per ospitare l'Archivio e il Tesoro Vaticani, come tribunale e prigione.[2]
Una veduta della zona di Castel Sant'Angelo in un dipinto di fine XVII secoloNel 1379 il Castello venne quasi raso al suolo dalla popolazione inferocita contro la guarnigione francese lasciata a presidio del castello da Urbano V. A dare inizio alla ricostruzione fu nel 1395 papa Bonifacio IX che incaricò l'architetto militare Niccolò Lamberti di eseguire una serie di interventi di potenziamento della struttura difensiva del castello. L'ingresso al castello diventò possibile solamente attraverso un'unica rampa di accesso e un ponte levatoio. Sulla sommità dell'edificio venne ricostruita la cappella dedicata a San Michele arcangelo.[11]
Nei quattro secoli successivi si susseguirono interventi e trasformazioni: Nicolò V (1447-1455) dotò il Castello di una residenza papale - la prima all'interno dell'edificio – e realizzò tre bastioni agli angoli del quadrilatero esterno. Inoltre provvide al rifacimento del Ponte Sant'Angelo, crollato in occasione delle manifestazioni giubilari. Alessandro VI Borgia incaricò l'architetto Antonio da Sangallo il Vecchio di ulteriori lavori di fortificazione, in seguito ai quali l'edificio assunse il carattere di vera e propria roccaforte militare secondo le più aggiornate tecniche della "fortificazione alla moderna": furono costruiti quattro bastioni pentagonali, dedicati ai santi Evangelisti, che inglobarono le precedenti strutture realizzate sotto Niccolò V. Per garantire un maggiore controllo sulle vie di accesso al castello, papa Alessandro VI fece poi innalzare un ulteriore torrione cilindrico all'imboccatura del Ponte e attorno alle mura fece scavare un fossato riempito con le acque del Tevere.
I lavori voluti da Alessandro VI non furono diretti solo al potenziamento della struttura difensiva dell'edificio: il papa dotò il castello di un nuovo appartamento, che fece affrescare dal Pinturicchio, e aggiunse giardini e fontane. Nel corso del suo pontificato Alessandro trasformò il castello, nel quale egli amava risiedere, in una sontuosa reggia dove organizzava banchetti, feste e spettacoli teatrali. Le cronache dell'epoca descrivono la dimora come lussuosa e sfarzosa, ma oggi nulla rimane di essa, essendo stata demolita da Urbano VIII nel 1628 per far posto a nuove fortificazioni.[12]
Veduta del castello dal Ponte Vittorio Emanuele IILe opere di fortificazione di Alessandro VI permisero a papa Clemente VII, 32 anni dopo, di resistere sette mesi all'assedio delle truppe di Carlo V, i famosi Lanzichenecchi, che il 6 maggio 1527 diedero inizio al sacco di Roma.
Nel 1525 Clemente VII fece costruire la Stufa, come allora veniva chiamato il bagno privato: una piccola stanza affrescata con ornamenti profani (delfini, conchiglie, ninfe, amorini, personaggi mitologici) ancora oggi visitabile. Nella stanza si trovava anche una vasca, nella quale l'acqua veniva versata da una bronzea Venere nuda, poi andata perduta.[8]
Il sacco di Roma dimostrò l'utilità del castello ai papi, che intrapresero grandiosi lavori di adattamento e vi installarono una vera e propria residenza papale. Nel 1542 Paolo III fece ristrutturare il castello dagli architetti Raffaello Sinibaldi da Montelupo e Antonio da Sangallo il Giovane, dal 1520 architetto capo della fabbrica di San Pietro. La decorazione delle stanze viene affidata a Perino del Vaga e a Luzio Luzi da Todi, con la collaborazione anche di Livio Agresti da Forlì. La grande cinta bastionata pentagonale che lo circonda, ultimo episodio di una lunga storia di fortificazioni, fu iniziata sotto papa Paolo IV (1555 – 1559) e conclusa sotto i suoi successori da Francesco Laparelli.
Nel 1630 Urbano VIII distrusse tutte le fortificazioni anteriori, compreso il torrione Borgia tra il ponte e il castello, e trasferì sul lato destro il portone principale. Inoltre fece costruire una grande cortina muraria frontale.[13]
Tra il 1667 e il 1669 Clemente IX fece collocare dieci angeli in marmo sul Ponte Elio: da allora anche il ponte viene chiamato Sant'Angelo.[13] Nell'Ottocento il castello fu utilizzato esclusivamente come carcere politico, chiamato con il nome di Forte Sant'Angelo.[14]
Dall'Unità d'Italia ai giorni nostri 1933. Lavori in corso per il ripristino di fossati e bastioniDopo l'Unità d'Italia venne inizialmente impiegato come caserma, poi fu destinato a museo. A questo scopo fu oggetto di lavori di restauro da parte del Genio del Regio Esercito, sotto la guida del colonnello Luigi Durand de la Penne, con il suo collaboratore capitano Mariano Borgatti, concepisce per primo il progetto di riportare il monumento al suo antico aspetto; in realtà i risultati dei lavori di restauro furono da molti giudicati piuttosto discutibili[15] perché portarono alla cancellazione dell'impronta bimillenaria del castello.
L'edificio fu destinato a sede del costituendo Museo dell'ingegneria militare,[16] inaugurato il 13 febbraio 1906, con lo stesso Borgatti come primo direttore; nel 1911 il museo fu spostato nelle adiacenti "casermette" di Urbano VIII, prima di essere definitivamente trasferito in altra sede nel 1939.
I restauri del 1933-34 ripristinarono i fossati e i bastioni e sistemarono a giardino la zona tra la cinta quadrata e la struttura pentagonale,[15] eliminando al contempo le casermette di Urbano VIII.
Il museo nazionale di Castel Sant'Angelo nel 2016 è stato visitato da 1 234 443 persone[17] risultando il 5º museo italiano per numero di visitatori.
Prigionieri di Castel Sant'Angelo Castello e ponte S. Angelo prima dei restauri del 1901. Notare l'orologio, il portone decentrato rispetto al ponte, gli edifici da caserma dietro il muro, i bastioni invisibili.All'interno di Castel Sant'Angelo numerosi sono gli ambienti destinati al carcere, ancora oggi visitabili. La cella più malfamata era quella detta Sammalò o San Marocco, sul retro del bastione di San Marco. Il condannato vi veniva calato dall'alto e a malapena aveva spazio per sistemarsi mezzo piegato, non potendo stare né in piedi, né sdraiato.[15] La cella era anticamente uno dei quattro sfiatatoi che davano aria alla sala centrale del Mausoleo di Adriano, dove si trovavano le urne imperiali, e che si affacciava sulla rampa di scale. Nel Medioevo era stato trasformato in segreta e qui era stato fatto un disegno dell'oscuro "San Marocco", poi storpiato in "Sammalò".[18]
Nel piano inferiore della costruzione semicircolare del Cortile del Pozzo, eretta da Alessandro VI, c'erano le celle riservate ai personaggi di riguardo.[19] Qui tra il 1538 e 1539 fu detenuto Benvenuto Cellini. Famosa la sua evasione: durante una festa in corso presso il castello, l'artista riuscì a evadere calandosi dall'alto del muro di cinta con una corda fatta con le lenzuola. Nella caduta si ruppe una gamba ma riuscì ugualmente a raggiungere la casa del cardinal Cornaro, suo amico. Catturato nuovamente, fu ricondotto a Castel Sant'Angelo e rinchiuso nelle “segrete”:[19] celle, a prova di evasione. Sono le prigioni storiche di Castel Sant'Angelo. Cellini stette in particolare in quella del "predicatore di Foiano", che vi era stato fatto morire di fame; vi rimase un anno, poi venne graziato dal papa per intercessione di Ippolito II d'Este e del re di Francia, suo grande estimatore. La sua cella è famosa perché su una parete Cellini vi disegnò con un rudimentale carboncino, stando a quello che egli racconta nella sua Vita (I, 120), un Cristo risorto, del quale ancora oggi ai visitatori si indica qualche traccia. In realtà questi resti del carboncino non sarebbero altro che segni “prodotti da crepacci di muro non imbiancato da secoli”.[8]
Sul cosiddetto Giretto di Pio IV, a destra della Loggia di Paolo III, si trovano undici prigioni utilizzate per i prigionieri politici. Originariamente erano stanze costruite per i familiari di papa Gregorio XVI.[19]
Nell'antica loggia superiore dell'appartamento pontificio di Paolo III è la Cagliostra, così chiamata perché nel 1789 vi fu tenuto prigioniero il celebre avventuriero Giuseppe Balsamo, detto conte di Cagliostro. Era una prigione di lusso, destinata a detenuti di riguardo.[19]
Nelle celle di Castel Sant'Angelo vennero tenuti prigionieri, tra gli altri, gli umanisti Platina e Pomponio Leto, Beatrice Cenci, condannata a morte nonostante la giovanissima età e le attenuanti, e Giordano Bruno, oltre ai patrioti italiani durante il Risorgimento[20].
A differenza di Benvenuto Cellini, molti illustri prigionieri di Castel Sant'Angelo vi persero la vita. Tanti di questi furono vittime dei Borgia. Tra di essi, il cardinale Giovanni Battista Orsini; questi fu imprigionato in Castel Sant'Angelo con l'accusa di aver tentato di avvelenare papa Alessandro VI. Considerata la gravità dell'accusa, la madre e l'amante del cardinale, temendo per la sorte del loro congiunto, si presentarono al pontefice con un'offerta: una perla rara e preziosissima in cambio del cardinale. Nota era la debolezza dei Borgia per le perle (sembra che Lucrezia ne possedesse più di tremila). Il papa accettò la proposta, prese la perla e, mantenendo fede alla parola data, restituì il cardinale: morto.[21]
I processi venivano svolti nella Sala della Giustizia, le esecuzioni capitali generalmente avvenivano fuori del castello, nella piazzetta di là dal Ponte Sant'Angelo, anche se numerose furono le esecuzioni sommarie all'interno del castello e nelle stesse carceri. Nella zona del cortile antistante la Cappella dei Condannati o del Crocifisso, nell'Ottocento venivano eseguite le condanne a morte mediante fucilazione. A ogni esecuzione di una condanna capitale suonava a morto la Campana della Misericordia, sulla terrazza ai piedi della statua dell'Angelo.[19]
Le prigioni costituiscono lo scenario del terzo atto della Tosca di Giacomo Puccini, ambientata a Roma nel 1800: il pittore Cavaradossi, condannato a morte, finisce nel carcere di Castel Sant'Angelo; qui nel cortile viene fucilato e la sua amante, Tosca, per la disperazione, si uccide buttandosi dagli spalti del castello.[19]
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