Polarsken

( Aurora polare )

L'aurora polare è un fenomeno caratterizzato visivamente da bande luminose che assumono un'ampia gamma di forme e colori, rapidamente mutevoli nel tempo e nello spazio, di solito di colore rosso-verde-azzurro, detti archi aurorali, causato dall'interazione di particelle cariche (protoni ed elettroni) di origine solare (vento solare) con la ionosfera terrestre (atmosfera tra i 100-500 km): tali particelle eccitano gli atomi dell'atmosfera che diseccitandosi in seguito emettono luce di varie lunghezze d'onda. Viene denominata aurora boreale qualora si verifichi nell'emisfero nord (boreale), mentre il nome aurora australe è riferito all'analogo dell'emisfero sud (australe).

Il 28 agosto 1859 furono avvistate alcune aurore lungo una vasta area del territorio americano. Nei centri scientifici di tutto il mondo, la strumentazione subì forti e inspiegabili variazioni e correnti spurie si formarono nelle linee telegrafiche.[1] Il giorno seguente, l'astronomo inglese Richard Christopher Carrington notò un gruppo di macchie solari di dimensioni insolitamente grandi, dal quale partiva un lampo di luce biancastra, che, dopo qualche ora, produsse una seconda ondata di aurore di grande intensità. Con la "Grande Aurora" del 1859 (chiamata anche "evento di Carrington"), i modelli di spiegazione dei fenomeni di attività solare si evolsero rapidamente: le antiche ipotesi di lampi ad alta quota, o di luce riflessa da iceberg, furono sostituite da quelle più attinenti agli eventi solari e alla perturbazione.

È stimato che tempeste di tale intensità capitino ogni 500 anni. Un altro evento di intensità pari alla metà di quella del 1859 è accaduto nel 1960 e ha provocato interferenze radio in tutto il pianeta. Gli esperti ritengono che i costi di una eventuale super tempesta potrebbero essere paragonabili a quelli di un grande terremoto, nel caso dovessero mancare le opportune contromisure, come procrastinare alcune attività delicate svolte dai satelliti, spostare le rotte aeree, individuare in anticipo gli elementi vulnerabili delle reti.[1] L'attività magnetica solare, e quindi anche la formazione di macchie solari, varia ciclicamente ogni undici anni. Nel mese di gennaio del 2008 è iniziato il nuovo ciclo quindi è lecito attendersi per i prossimi anni un incremento di attività. Negli ultimi undici anni, gli studiosi hanno rilevato circa 21000 brillamenti e 13000 nubi di plasma fuoriusciti dalla superficie solare.

In Italia, la visibilità delle aurore boreali è abbastanza rara, ma nella notte tra il 17 e il 18 novembre 1848, il fenomeno fu talmente intenso ed esteso da essere visibile anche a basse latitudini. A Napoli fu osservato dagli astronomi dell'Osservatorio astronomico di Capodimonte[2] e da Mario Patrelli, direttore dell'Osservatorio di Marina; inoltre il pittore Salvatore Fergola realizzò due dipinti proprio dall'Osservatorio di Capodimonte. A Roma il fenomeno ebbe grande eco, come testimonia l'articolo pubblicato sulla rivista L'album che descrive in dettaglio l'evento astronomico e la sorpresa dei romani.[3]

^ a b Il ritorno della grande aurora, di Sten F. Odenwald e James L. Green, pubblicato su Le Scienze, numero 482, ottobre 2008, pagina 52-59 ^ Storia delle osservazioni dell'aurora boreale, su stories.weroad.it. URL consultato il 13 luglio 2022. ^ Ileana Chinnici e Mauro Gargano, L’aurora boreale osservata a Napoli, in Tra cielo e Terra: L'avventura scientifica di Angelo Secchi, Comitato Nazionale per il Bicentenario della Nascita di Angelo Secchi, 2018.
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